RACCONTI

il CORAGGIO del TENENTE
Autore: Paolo Pozzi
Preludio
Giovedì 28 luglio, ore 15:07
– Insomma, Croccolo, la pianti con queste scempiaggini da terzomondista! Vada, vada…
Il tenente Alessandro Croccolo sopporta stoicamente l’insulto alla sua napoletanità ed esce senza reagire dall’ufficio del suo superiore, il capitano Rizzi, al terzo piano del Comando Provinciale dei Carabinieri di Milano (con l’esercito di parenti di sua moglie, uno più padano e leghista dell’altro, se Croccolo non fosse dotato com’è di partenopeo, filosofico self-control, avrebbe già fatto “’na stragge”!).
Eppure il tenente dentro di sé sa bene di avere ragione. Ha capito tutto, ma sai che soddisfazione! Qualcuno tra poche ore verrà ucciso e per colpa dell’ottusità di Rizzi non ci si potrà far nulla. A meno che…
Parte prima
Sabato 2 luglio, ore 6:55

Al terzo lancinante squillo, Croccolo si trascina fuori dal letto e imprecando tra sé, con gli occhi ancora semichiusi, ciabatta fino all’anticamera, dove solleva la cornetta e mugugna un “Pronto” poco convinto.
– Croccolo, è lei?
No, hai sbagliato numero, maledetto Rizzi!
Ma questo ovviamente Croccolo si limita a pensarlo.
– Sì, capitano…che c’è?
– Ma perché ci ha messo tanto a rispondere? Forse dormiva ancora? L’ho svegliata?
No, certo che no…pensa che per essere al Comando, a dieci minuti a piedi da qui, alle otto e mezzo, io mi sveglio sempre due ore prima, così se mi chiama un rompiscatole come te mi trova bello sveglio e scattante…
– Mmm…no, certo…è che…ero in bagno. Mi dica…
– Si faccia trovare sotto casa tra dieci minuti, le ho mandato una pattuglia. Pare abbiano ammazzato un tale a colpi di pistola, ci pensi lei a seguire i primi rilievi e a parlare col GIP, io devo presenziare ad un workshop in Bocconi, proprio non posso. Mi raccomando, Croccolo, niente iniziative personali, capito? Si limiti a guardare e prendere nota, poi più tardi passa da me e mi fa un bel rapporto, d’accordo? Buon lavoro!
E il capitano Rizzi attacca prima che Croccolo possa mandarlo simpaticamente a quel paese, e stavolta non solo col pensiero.
Dieci minuti!
– Luisellaaaa!!!
Che sarebbe poi la moglie del tenente. Il suo vero nome ovviamente è Luisa; il vezzeggiativo risale ai tempi del fidanzamento, quando portava la taglia 36 e nonostante il suo metro e settanta era talmente magra da sembrare quasi minuta. Diciannove anni di matrimonio e venticinque chili dopo, forse sarebbe più corretto chiamarla “Luisona”. Ma ormai un’abitudine è un’abitudine.
La suddetta Luisella (Molinari in Croccolo, per i maniaci anagrafici) fa capolino in camicia da notte dalla porta della camera da letto. Il marito non ha mai capito come diavolo faccia, ma anche da appena svegliata, ha i capelli in ordine perfetto, lisci e con lo stesso color rosso carota di quand’era ragazzina.
– Chi era, amore?
– Quel grandissimo fetente di Rizzi, che Dio lo strafulmini…devo essere calzato e vestito tra dieci…anzi, nove minuti, qui sotto casa! Per favore, fammi un caffè ultraforte…
E corre a cambiarsi lanciando maledizioni in un misto italian-meneghin-napoletano.
Lunedì 4 luglio
La prima vittima (ma che sia la prima ancora non lo sa nessuno, ovviamente) si chiama Giuseppe Pinzi, cinquantaquattro anni, freddato con due colpi alla schiena (gobba, come non bastasse!) mentre stava abbassando la saracinesca del minuscolo bar-tabacchi di sua proprietà, al 102 di via Gandhi, cioè talmente in periferia che basta fare quattro passi in direzione nord-ovest per ritrovarsi a Varese. Per inciso, è la regola: nel centro storico i nomi delle vie sono sempre appannaggio di letterati, eroi del Risorgimento, battaglie celebri e nomi di città importanti; nelle nuove zone residenziali è tutto un fiorire di nomi di piante, alberi e richiami vari a quella natura che qui a Milano ricordano appena i nostri nonni, e pure loro non molto bene; e per finire nelle periferie degradate – pardon, qui si dice “hinterland”, che sembra meno brutto – vengono relegati i vari Kennedy, MacMahon, Luther King…e Gandhi, appunto.
Tornando al gobbo: di testimoni nemmeno l’ombra (e figuriamoci! Quelli esistono solo nei polizieschi americani), nessun movente che spieghi l’omicidio: si esclude la rapina (il cadavere ha in mano il portafogli con l’incasso della giornata), tantomeno possibili le motivazioni passionali (il Pinzi era solo, senza parenti o amici intimi; unico amore – sfortunato, peraltro – l’Inter), di criminalità organizzata manco a parlarne (altrove magari spareranno pure; nella “capitale morale” si limitano per lo più a riciclare, corrompere, giocare in Borsa, import-esportare, eccetera eccetera).
Il tenente Croccolo ha cercato di riassumere quel poco che si è appurato finora dando per quanto possibile al tutto un senso di burocratica efficienza, ha stilato il suo rapporto per il capitano Rizzi e gliel’ha portato su in ufficio.
Rizzi è di fretta, deve scappare perché quella sera l’attendono ad un convegno su “Attualità della figura dell’eroe omerico rivisitato nelle fiction investigative moderne” o una roba del genere, e non gli presta molta attenzione. Dice solo che va bene così, “per una volta ha fatto un buon lavoro, Croccolo, ma da domani torna ad occuparsi dell’inchiesta sulle contraffazioni di beni di lusso”, che dell’omicidio del gobbo si occupino appuntati e brigadieri.
E per il momento la cosa finisce lì.
Diciamoci la verità: appuntati e brigadieri ce n’è sempre meno di quanto servirebbe per fare tutto quello che c’è da fare. E per quanto riguarda la morte del gobbo, stavolta i nostri beneamati benemeriti non sanno che pesci pigliare. Detto tra noi, col caldo che fa non hanno neppure tutta ‘sta voglia di mettersi a pescare.
Sabato 9 luglio, ore 6:14
Passa qualche giorno, e il sabato successivo, stavolta verso le 4 di mattino (Croccolo era di turno, se non altro stavolta niente levataccia), c’è un nuovo morto, anzi morta: Inga Dovirsilaite, trentadue anni, in arte “Blondie”, cresciuta alta, tanta e bella in una dittatura comunista, e venuta a crepare sfatta, malata e puttana sul marciapiede di un libero mercato. Causa della morte: strangolata in un vicolo non lontano da via Melchiorre Gioia, mentre si stava dando da fare con un cliente. L’assassino ha infierito sul cadavere sparando un colpo di pistola al pube.
Il nostro tenente sopporta a malapena la vista di una bistecca troppo al sangue, figurarsi il corpo di quella poveraccia! Si è messo gli occhiali a specchio, nonostante cominci appena ora ad albeggiare, e così si evita quanto più possibile lo spettacolo mentre parla col medico legale.
Poi mette tutto nelle mani del brigadiere Giambisi e se ne va a cercare di farsi un paio d’ore di sonno, prima di dover riprendere servizio e relazionare il superiore su questa nuova storia di una Milano sempre meno “da bere” ogni giorno che passa.
Si è detto “cercare” e infatti il buon Croccolo, nonostante la stanchezza, non riesce proprio a chiudere occhio. Continua a tornargli in mente (per un secondo gli è toccato guardare) quel rivolo di sangue denso, scuro, che scivolava giù piano dal lercio marciapiede e scompariva in quel tombino fetente.
Sabato 9 luglio, ore 14:27
– Croccolo, Croccolo, lasci perdere, perché parte in quinta come al solito? Sarà stato il solito magnaccia albanese…
– A parte che il protettore della vittima si chiama Bertelè Alfredo ed è italianissimo…e comunque Giambisi ha controllato, quel figlio di buona donna ha un alibi di ferro…
– Ma le devo insegnare io il mestiere? Immagino che alibi, sarà stato visto in qualche bettola malfamata mentre giocava a carte tutta notte, con quattro delinquenti come lui pronti a tenergli bordone!
– Ehm…non esattamente, capitano…è stato fermato dalla Polstrada prima del casello di Melegnano, eccesso di velocità, guida in stato di ebbrezza e resistenza a pubblico ufficiale. Pare tornasse da una discoteca dell’hinterland dov’era andato a …ehm…”valutare” delle nuove ragazze. Purtroppo il rapporto della stradale parla chiaro: all’ora del delitto il Bertelè era ad almeno venti chilometri di distanza, quindi di sicuro non c’entra.
– Va bene, allora vorrà dire che sarà stato il solito balordo drogato…insomma, sia quel che sia, lasci che se ne occupi Giambisi e si concentri sui falsari, si ricordi che a giorni potremmo dover effettuare un’operazione su vastissima scala, concertata coi comandi di mezza Italia…e lei vuole perdere tempo col delitto di una puttana?
Croccolo sarà magari un puntiglioso, ma il tono con cui Rizzi ha detto l’ultima frase gli ha fatto venir voglia di prendere il superiore per il bavero e appenderlo al muro insieme ai calendari dell’Arma, motivo per cui ha preferito non replicare. Ha poco convintamente fatto segno di sì, battuto i tacchi, ed è uscito dall’ufficio del superiore prima di fare qualche bestialità e mandare a quel paese venti e passa anni di onorato servizio.
E a parte l’incazzatura repressa del tenente (che di certo non è una novità e quindi non conta) pure stavolta la cosa finisce lì.
Ma solo per un paio di giorni.
Martedì 12 luglio, ore 15:46
Martedì pomeriggio arriva il rapporto della scientifica.
A parte il solito mucchio di cose tecniche e poco comprensibili, e le foto che Croccolo ha girato subito sottosopra senza guardare, c’è però un dettaglio bomba: il proiettile sparato alla bella di notte è uscito dalla stessa arma usata per freddare il barista gobbo alias Pinzi Giuseppe, una calibro 7,65 con un caratteristico difetto al percussore!
Croccolo sta per correre da Rizzi, è già sulla porta dell’ufficio quando lo squillo del telefono lo fa tornare indietro.
– Si sbrighi, Croccolo, l’operazione congiunta è stata anticipata a domattina, bisogna subito che ci accordiamo sugli ultimi dettagli.
– Ma, veramente…
– Cosa fa ancora lì, Croccolo? Ho detto subito!
Inutile dire che manco stavolta il nostro tenente riesce a smuovere quel cretino di Rizzi, troppo preso da questa cavolo di operazione congiunta contro i falsari di marchi pregiati.
Croccolo mastica un paio d’etti di bile ma garibaldinamente obbedisce agli ordini, anche se a lui non va tanto giù tutto questo spiegamento di forze per qualche decina di poveri cristi cinesi che sgobbano quindici e passa ore al giorno, con uno stipendio da fame, per produrre borse e occhiali da sole taroccati.
E poi sotto sotto il tenente si chiede se sia poi così grave, dopotutto chi si può permettere di spendere l’equivalente di un mese del suo stipendio da carabiniere per comprare una cacchio di borsetta firmata, continuerà a farlo, e chi invece si accatta la versione “made in China” da trenta euro è perché tanto quella originale non l’avrebbe mai potuta acquistare.
A volerla dire proprio tutta, può essere che con lo scetticismo di Croccolo riguardo all’operazione congiunta c’entri qualcosina pure il fatto che l’ultimo Natale, tra le altre cose, alla sua Luisella ha regalato proprio una di quelle borsette taroccate.
Sia quel che sia, per i due giorni seguenti non c’è più un minuto libero , tra una conferenza stampa e un’intervista per il tiggì (Rizzi manca poco che fa la ruota come un pavone! Ecco spiegato tutto il suo interesse per quella fetentissima operazione congiunta…), e così le indagini sugli omicidi di quei due poveracci vengono un po’ messe da parte.
Qualcuno che non conoscesse sbirri in gamba come Croccolo ma solo teste di cavolo tipo Rizzi e fosse magari in vena di malignità, potrebbe forse dire che su questo caso le Forze dell’Ordine, coerentemente col fatto che siamo in un paese cattolico, preferiscono per l’intanto confidare più che altro in un miracolo.
Sabato 16 luglio
Week-end di Ferragosto, due sabati dopo il primo delitto: il terzo morto, trentott’anni, di nome fa Buzzi Antonio, stordito con un colpo di manganello (o simile corpo contundente) alla nuca, mentre parcheggiava la sua Porsche Cayenne Turbo in divieto di sosta, tornando alticcio dalla notte in discoteca; l’assassino gli ha poi legato una corda ai piedi, l’ha appeso a testa in giù al lampione più vicino, dopodichè l’ha freddato con un solo proiettile, dritto al cuore.
Sembra che tra i parenti del morto ci siano un cardinale, un sottosegretario, due commendatori e quattro avvocati di grido. Insomma aveva come si dice i santi in paradiso, motivo per cui le Forze dell’Ordine (direbbe il solito maligno) per contrappasso ora dive


ntano meno cattoliche, smettono di sperare nei miracoli e si gettano anima e corpo sul caso (insieme ad un piccolo esercito di giornalisti, avvocati, avvoltoi e curiosi vari – e meno male che i media ancora non sanno che l’arma è la stessa degli altri due omicidi, se no apriti cielo!).
A Croccolo fa particolarmente rabbia il cambiamento del capitano Rizzi. D’accordo che ora non ha più l’assillo di finire in tv come prode paladino del marchio di lusso, ma almeno avesse la dignità di ammettere che ‘sta storia l’aveva colpevolmente presa sottogamba! E invece no, manca poco che la colpa è sua (di Croccolo), che “anziché fare il solito napoletano” dovrebbe sbattersi di più.
Il tenente in cuor suo spera tanto che la prossima vittima sia il suo superiore. Nel frattempo, insieme al brigadiere Giambisi, fa quello che può per capirci qualcosa in quella brutta storia.
Lunedì 18 luglio
Non è che si sia riusciti lo stesso a scoprire granchè.
La vittima stava sulle scatole a molti, ma hanno tutti degli alibi a prova di bomba. Il che non sorprende più di tanto gli inquirenti, ormai non ci sono dubbi che ci si trova di fronte a un dannato serial killer! Ma da qui a capire che cavolo di logica segua l’omicida, ce ne corre: i tutori della Legge come detto ora non dormono più (permessi ritirati, turni doppi, massima allerta) ma continuano a brancolare nel buio come e peggio di prima.
Viene richiesto un profilo psicologico dell’assassino; il team di strizzacervelli incaricato non ha dubbi: maschio, bianco, tra i trentacinque e i quarantacinque anni, di media cultura, probabili traumi infantili, eccetera eccetera.
Sai che novità, praticamente l’identikit del tipico omicida seriale (ma non è che li chiamano così perché sono fatti tutti in serie con lo stampino?).
Martedì 19 luglio, ore 21:27
I doppi turni sono toccati ovviamente pure al nostro tenente Croccolo, che a quaranta e passa anni ha già una discreta pancetta (colpa della cucina di sua moglie, almeno in parte) e con la circolazione che si ritrova e il caldo che fa, gli tocca togliersi le scarpe ogni volta che può.
Dopo tre notti insonni, coi piedi in fiamme e un umore che più nero non si può, si prende cinque minuti dopo cena e telefona a sua madre, ha voglia di sentire la sua bella voce partenopea e di sfogarsi un po’ con la genitrice (si ha un bell’avere passato i quaranta, sotto sotto si resta tutti “belli ‘e mammà”).
La madre di Croccolo si chiama Teresa De Crescenzo, vedova Croccolo, e da cinquant’anni è “assistita”, che non significa che è andata in pensione a venticinque anni (come penserebbero sicuramente i parenti padani di sua nuora), ma semplicemente che di mestiere dà i numeri del lotto, e per questo è benvoluta da tutti, al Rione Sanità. Il rovescio della medaglia però è che qualsiasi cosa le si dica, lei per prima cosa si mette a calcolare a che numero corrisponda secondo la Smorfia napoletana.
E’ così anche stavolta, Croccolo ha appena finito di parlarle del caso che sta togliendo il sonno ai tutori della Legge, e lei subito attacca:
– Mmm…famme penzà…’o primmo muorto fa 57, “’o scartellato”. ‘A guagliona è certo 6, “chella ca guarda ‘n terra”, e l’ultimo di sicuro 69, “sott’e ‘ncoppa”. Saj che te dico Alessà, io quasi quasi ‘sta jucata m’a faccio, terno secco sulla ruota ‘e Napule!
– Mammà, chiedo scusa, ma a ‘sto punto me pare cchiù ggiusta assaje ‘a ruota ‘e Milano, i muorti dopotutto cà stanno, mica a Napule…
Come prosegue la telefonata non ci interessa molto, le frasi importanti sono state riportate e questo basti.
Ma che fossero frasi importanti per il momento il tenente Croccolo mica lo sa. Se ne accorgerà solo qualche giorno dopo.
Sabato 23 luglio
Altro sabato, altro cadavere, altra levataccia per il nostro tenente, che aveva appena staccato dall’ennesimo turno di notte quando lo hanno avvisato del rinvenimento del corpo della quarta vittima. Stavolta è toccato a Padre Alvaro Rattazzi, un frate francescano di sessantadue anni, colpito mentre stava andando alla prima messa mattutina (praticamente all’alba).
Due colpi della solita 7,65 alla schiena da distanza ravvicinata, questa volta l’assassino si è fermato a ricomporre la salma: mani giunte sul petto, crocefisso sul cuore e…Amen!
Lunedì 25 luglio
Della morte del gobbo e della povera crista dell’Est l’opinione pubblica praticamente non ne sa nulla, e anche fosse probabilmente non gliene fregherebbe niente a nessuno o quasi.
La morte di Buzzi invece di scalpore ne ha suscitato, ma con tutti i nemici che aveva (parenti-serpenti, avversari politici, concorrenti, dipendenti licenziati, eccetera eccetera) i media hanno solo l’imbarazzo della scelta e sono forse loro i primi a sperare che il caso non venga risolto subito (altrimenti toccherebbe parlare dei prezzi che salgono, dei condoni che si accumulano, delle missioni di pace dove si muore come in guerra…tutti argomenti che a lungo andare stufano il pubblico e fanno vendere meno; senza contare che c’è sempre il rischio di pestare le corna sbagliate e ritrovarsi a fare il corrispondente in qualche posto sperduto e di cui non sbatte nulla a nessuno).
Ma con la morte del frate la musica è cambiata.
Non si capisce se sono i cittadini a dire che “E’ uno scandalo!” perché così sta scritto sui giornali, o se sono i media a titolare “Cosa fanno le Forze dell’Ordine?” perché è proprio quello che si chiedono i contribuenti.
Per Croccolo e soci comunque fa lo stesso: già si lavora male di solito, con gli organici sempre troppo striminziti e i troppi impegni, se poi si mettono pure a farti pressioni da ogni parte, la cosa diventa ancora meno gradevole.
Giovedì 28 luglio
Qualcuno (strano che non sia successo prima) ha spifferato qualcosa di troppo alla stampa, e tempo poche ore si scatena il pandemonio! Prime pagine, aperture dei tiggì, porte-a-porte e costanzi-show: “SERIAL KILLER A MILANO!!!”
Al Comando si passa ai turni tripli, qualcuno si organizza con delle brandine in ufficio e chi non ha l’ufficio dorme in piedi.
A proposito di piedi, quelli di Croccolo fumano peggio del Vesuvio. Alla fine approfitta di un attimo di relativa calma all’ora di pranzo, entra in un ufficio deserto, si toglie le scarpe che lo torturano e coi piedi sulla scrivania telefona alla madre.
La quale, non contenta di averlo dato alla luce parecchi anni addietro, resta in tema di luci & affini e, seppur involontariamente, illumina la mente del pargolo sbirro fornendogli praticamente la soluzione del caso.
– Appropò, Alessà, ma ‘o saj ca è strano assaje ‘stu fatto…rammenti ca me vulivo jucà ‘no terno secco su Milano…ebbè ho controllato e i nummeri su chilla ruota so’ già sortite ‘o mese scorso: 57, 6 e 69…e ora ‘stu munaciello, che fa 37…e difatte ‘o 37 era proprio ‘o quarto estratto!
Croccolo non sarà Sherlock Holmes, ma stavolta ha capito tutto, balza in piedi con un’agilità insospettabile e con voce malferma chiede:
– Mammà! E qual era ‘o quinto nummero o saj?
– O ssaccio, o ssaccio, chillo era ‘o 31, “’o padrone ‘e casa”…
– Mammà, tu si’ ‘n genio! Mo’ devo scappà, ciao!
Il tenente attacca la cornetta e si precipita fuori dall’ufficio per andare a relazionare il suo superiore, a mezza strada si accorge di essere scalzo e gli tocca tornare a rimettersi le scarpe.
Dopo un po’ racconta tutto al capitano Rizzi e quello, come abbiamo visto, lo caccia in malo modo.
Parte seconda
Giovedì 28 luglio, ore 15:25
Sarà la consapevolezza di aver ragione, sarà l’insulto alla napoletanità (“Terzomondista ci sarai tu, brutto fetente” dice Croccolo a bassissima voce al suo superiore, una volta uscito in corridoio, quand’è sicuro che l’interessato non potrà sentire), sarà che non ci sta a far finta di niente quando c’è una vita in ballo, sarà che mancano appena due giorni a sabato e il tempo stringe.
Insomma perché o per come, Croccolo si mette finalmente ad indagare per conto suo, smuove mari e monti (o meglio, archivi, faldoni e altre burocratiche amenità) e a chi gli chiede assicura di agire su ordine dei superiori.
Venerdì 29 luglio, ore 22:51
La sera dopo il Comando è in fibrillazione. Tutti gli agenti mobilitati, centinaia di uomini pattugliano la città palmo a palmo, i telefoni squillano in continuazione (falsi allarmi e mitomani, ma ogni volta bisogna controllare). E in tutto questo casino, il tenente Croccolo è sparito (“Quando torna vede!” ha proferito minaccioso il capitano Rizzi dando un pugno sulla scrivania in finto mogano).
Ma dove cavolo è finito il tenente Croccolo?
Sabato 30 luglio
Alle due e trentasette, una chiamata da Porta Venezia, dei testimoni hanno sentito due colpi di pistola. Ma poi si scopre che erano tappi di spumante (gli universitari in affitto al piano di sotto festeggiavano il primo esame passato dopo mesi e mesi di cazzeggio).
Tre e dodici minuti, delle urla in zona Famagosta. Il serial-killer non c’entra, è una semplice storia di corna.
Tre e cinquantasette, aggressione con accoltellamento in zona San Siro. Ma è roba che può interessare all’antidroga, i coinvolti sono due piccoli spacciatori che lottavano per il “territorio”.
Passano le quattro, poi le cinque. Le chiamate e gli allarmi si diradano fino a cessare del tutto.
Alle sei meno cinque squilla il cellulare del capitano Rizzi. All’altro capo della linea, Croccolo si toglie una soddisfazione che aspettava da anni e dà del tu al superiore:
– Roba da terzomondisti, eh? Manda una pattuglia in via Norcia 68…e fai venire pure un paio di ambulanze, ho ferito il serial-killer alle gambe e mi sono preso una palla al fianco. Fa’ presto, cazzo, butto sangue come una fontana!
Sabato 30 luglio, ore 11:34
Qualche ora dopo il serial killer (si chiama Antonio Esposito, quarantadue anni, sta’ a vedere che rientra perfettamente nel profilo stilato dagli psicologi!) è al sicuro nell’infermeria di San Vittore, tenuto sotto strettissima sorveglianza.
Quanto a Croccolo, sta al Fatebenefratelli, hanno appena finito di ricucirlo che Rizzi fa uscire tutti dalla stanza (singola, trattamento di lusso) e si rivolge mellifluo al sottoposto:
– Ora, caro Croccolo, potrebbe spiegarmi?
Croccolo incassa il “caro” ridendo sotto i baffi (che peraltro porta, e pure folti) e comincia non risparmiandosi una punzecchiata al superiore:
– Come ho inutilmente cercato di dirle già l’altroieri, ho cominciato a capire quando mia madre mi ha fatto notare che le prime quattro vittime corrispondevano, nella Smorfia napoletana, a quattro numeri usciti, proprio in quell’ordine, sulla ruota di Milano, sabato 4 giugno: 57, “‘o scartellato”, il gobbo, proprio com’era il Pinzi; 6, “chella ca guarda ‘n terra”, cioè le…ehm…parti intime della seconda vittima, su cui l’assassino ha infierito; poi 69, “sott’e ‘ncoppa”, che significa “sottosopra”, proprio come abbiamo trovato il terzo cadavere, appeso a testa in giù; infine 37, “‘o monaco”, e appunto la quarta vittima era un frate. Ora, una coincidenza passi, va bene due, tre sarebbero già strane, ma quattro una in fila all’altra!
– D’accordo, ma come ha fatto ad arrivare al serial kiler?
– Stabilito che l’assassino sceglieva le vittime in base a quella precisa estrazione del lotto, ho provato a risalire a lui seguendo due strade: da una parte, capendo il perché quella fissazione; dall’altra, prevenendone le mosse. Se aveva seguito l’ordine esatto dei primi quattro numeri estratti, tutto faceva pensare che avrebbe continuato così anche per il quinto e ultimo: 31, “o’ padrone ‘e casa”. Ma a questo punto più ci pensavo, più mi rendevo conto che il serial killer non poteva che uccidere il proprio padrone di casa. In tutti gli altri casi il collegamento tra la vittima ed il numero era diretto, immediato. Lei deve sapere che in realtà nella Smorfia napoletana ad ogni cosa, fatto o azione possono corrispondere diversi numeri: per esempio, prendiamo la prima vittima. Potrebbe essere 62, “‘o muorto acciso”, oppure 42, “‘o cafè”, visto che è stato ucciso di fronte al bar, e così via…ma colpendo il gobbo proprio alla schiena deforme, era come se l’assassino volesse attirare l’attenzione su quel particolare. E il gobbo, “‘o scartellato”, è sicuramente 57. Con la seconda vittima stesso discorso, avrebbe potuto far pensare al 78, “‘a bella figliola”, cioè la prostituta, o ancora al 21, “‘a femmena annura”, visto che l’abbiamo appunto trovata nuda…ecco che quindi quell’inutile colpo al pube aveva lo scopo di focalizzare l’attenzione sull’unico dettaglio che premeva all’omicida, cioè le parti intime della ragazza. Chiaro riferimento al numero 6, “chella ca guarda ‘n terra”, cioè…la vagina…
E qui Croccolo non riesce a non arrossire. Ma solo un attimo, poi prosegue:
– Per non parlare del terzo cadavere. Quella volta l’assassino prima ha stordito la vittima senza usare la pistola, e solo in un secondo momento ha sparato. Tutto ciò solo per avere il tempo di legare il Buzzi a testa in giù, di modo che fosse chiaro il collegamento al numero 69, “sott’e ‘ncoppa”, cioè “sottosopra”. Con la quarta vittima poi non ci si poteva sbagliare. Gli bastava un frate qualsiasi. Di sicuro corrisponde al 37, “’o monaco”. Ma comunque a scanso di equivoci ha perso tempo a ricomporre la salma, per precisare al di là di ogni dubbio che proprio di un monaco si trattava, e non per esempio di un vecchio qualunque, che altrimenti farebbe 53. Però col quinto estratto il discorso si complica. Numero 31, “’o padrone ‘e casa”. L’unico modo che l’assassino ha di rispettare la relazione tra numero e vittima, è di uccidere il PROPRIO padrone di casa, non un padrone di casa qualsiasi. Come farebbe altrimenti a sottolineare e far capire che di quello si tratta?
– Ma questo non poteva indicarle in alcun modo il nome del serial killer…
– Verissimo, però mi restava l’altra strada, cioè ragionare sull’ossessione dell’assassino per quella particolare estrazione del lotto. Cosa poteva avere di così terribile da spingere una mente, per quanto malata, a cinque omicidi? Qui mi sono venuti in aiuto gli psicologi che avevano stilato il profilo del serial killer. Ho fatto loro qualche domanda un po’ più approfondita, e tra le cose che mi hanno spiegato, una in particolare mi ha colpito: nella stragrande maggioranza dei casi che riguardano omicidi seriali, la prima vittima ha una qualche relazione con l’assassino. Allora ho cercato di saperne di più su quel Pinzi. Il suo bar-tabacchi, con annessa ricevitoria del lotto, era poco più di una bettola. Tolte le spese, gli restava in tasca giusto il necessario per tirare a campare, e pure maluccio. Ma due settimane prima di morire, il gobbo aveva chiesto un preventivo ad una ditta specializzata per un completo ammodernamento del locale. Costo totale, 12.000 euro.
– Da dove gli venivano questi soldi?
– In banca ne aveva poco più di 3.000. Nessun parente, quindi non si trattava di eredità. Un povero cristo quale era il gobbo come poteva fare quattrini da un giorno con l’altro?
– Non mi dica che…
– Appunto. Giocando al lotto. Allora vado e mi informo: nell’estrazione del 4 giugno in tutta Italia sono stati pagati 2.348 ambi, 703 terni, 81 quaterne e soltanto tre cinquine. Una a Taranto, la seconda in provincia di Rieti e la terza…
– A Milano?
– Già, giocata al bar-tabacchi di via Gandhi 102, vincita per un valore di oltre 300.000 euro.
– Ma con quella somma poteva comprasi un locale in centro, altro che restaurare la sua bettola!
– La stessa cosa che ho pensato anch’io. Però i proprietari delle ricevitorie hanno diritto ad una percentuale sulle vincite, da qui la disponibilità finanziaria del Pinzi. Solo che se non li aveva vinti lui, allora chi? E soprattutto, perché il nostro serial killer avrebbe dovuto uscire di senno? Allora ho cominciato a chiedermi una cosa: e se per esempio fosse stato proprio l’omicida ad effettuare la giocata vincente?
– E già, adesso uno che vince seicento milioni di lire si mette ad ammazzare a destra e a manca! Croccolo, per favore…
– Chiaro che no…ma se per ipotesi un tale facesse una vincita da 300.000 euro e questi soldi gli venissero in qualche modo sottratti, non pensa che potrebbe appunto uscire pazzo?
– Vuole dire che qualcuno ha rubato la vincita a quell’Esposito? Ma allora perché prendersela col Pinzi e non con questo qualcuno, visto che abbiamo stabilito che il gobbo contava solo sulla sua percentuale e non sulla somma totale?
– Ad esempio, perché il Pinzi per qualche motivo aveva contribuito a far vincere questo “qualcuno” al posto dell’assassino, magari in cambio di un bel regalo…
– Ma ancora non capisco com’è arrivato a questo Esposito…
– Continuando a ragionare sull’ipotesi che l’assassino ce l’avesse col gobbo perché questi gli aveva “rubato” la vincita a favore di un’altra persona. Ora il problema era: come risalire a questa persona? Il Pinzi non aveva né parenti, né amici, quindi doveva trattarsi di un cliente del bar, e non ce n’è poi moltissimi. In periferia capita che sia un po’ come nei paesi di campagna, gira e rigira i clienti delle varie bettole sono sempre gli stessi, e praticamente tutti abitano in zona. Il che si capisce, uno che si prende la briga di spostarsi per andare in un bar lontano da casa, di solito lo fa perché questo locale ha qualche attrattiva che nei baretti del suo quartiere manca: vuoi una bella cameriera, vuoi un biliardo nuovo, eccetera eccetera. Ma il baretto del gobbo di attrattive non ne aveva manco l’ombra: per cui, se uno va in una bettola simile è perché ce l’ha sotto casa ed è comodo così. Quindi, dicevo, è bastato indagare sui clienti più assidui, una trentina di nomi in tutto. Una piccola ricerca a computer fatta dai colleghi della tributaria, e si scopre che uno di loro, tale Ivo Rosetti, ha appena versato la prima rata di una Ferrari…e meno male che noi italiani quando abbiamo due soldi pensiamo subito all’auto, altrimenti col cavolo che avrei trovato il serial killer!
– Ecco, appunto, ora deve spiegarmi come ha collegato questo…Rosetti, con l’Esposito…
– Semplice: il Rosetti non è che stesse poi male economicamente, tra le altre cose è proprietario del piccolo stabile in cui vive, via Norcia 68, sei appartamenti. Uno per lui, uno per la sorella coniugata, uno per i figli, e tre in affitto. Insomma, “’o padrone ‘e casa”! E qui ho finalmente capito tutto: questo Rosetti aveva sottratto la ricevuta della giocata fatta dall’assassino e, d’accordo con il Pinzi, si era intascato la vincita. La combinazione per cui il primo e l’ultimo numero della giocata corrispondevano ai due complici, cioè 57, il gobbo, e 31, il padrone di casa, era stata l’ultima spinta necessaria a far impazzire il derubato.
– Ma se le cose stanno così, perché questo Rosetti non ha denunciato Esposito subito dopo la morte del Pinzi?
– Me lo chiedevo anch’io, e l’ho capito solo parlando col serial killer, mentre aspettavamo l’ambulanza. Il fatto è che Rosetti non avrebbe mai sospettato nemmeno lontanamente di lui. Esposito è sempre stato un povero diavolo, mite e remissivo. Inoltre negli ultimi anni, dopo la morte della moglie e del figlio in un incidente stradale, non c’era più molto con la testa, ed è finita che tutti se ne approfittavano considerandolo un mezzo demente. Si figuri che non è nemmeno andato a lamentarsi col Pinzi o col Rosetti, ma ha continuato a vivere lì e ad andare al bar come se niente fosse! Insomma, i due complici si saranno detti che era un delitto non approfittarne…ma quello che non sapevano è che in tutto questo tempo Esposito non ha fatto altro che macerarsi internamente, scivolando un giorno dopo l’altro nella pazzia…
– Tornando indietro un momento, mi ha detto che nello stabile del Rosetti gli appartamenti in affitto sono tre: come faceva ad essere sicuro che l’assassino fosse appunto l’Esposito?
– Beh, negli altri appartamenti ci sono una coppia di ottuagenari e una zitellona inacidita, non poteva che essere Esposito. Allora sono andato da lui, e ho fatto appena in tempo, perché quello era già con la pistola in pugno, stava per salire ad ammazzare il Rosetti; gli ho subito intimat
o l’alt, ma quello mi ha sparato lì sulla soglia. Per fortuna ho fatto in tempo a spostarmi di lato sparandogli alle gambe. Poi sono riuscito ad ammanettarlo e allora le ho telefonato…
– Splendido, splendido. Ottimo lavoro, Croccolo, vado subito a riferire al colonnello…ehm…chiaramente ometterò di precisare che lei ha agito al di fuori delle regole…temo potrebbe costarle un’indagine disciplinare…
Il tenente Croccolo sa bene che in realtà il capitano Rizzi ha soprattutto paura che si venga a sapere che lui la soluzione gliel’aveva già offerta due giorni prima, e anziché ascoltarlo il superiore l’aveva cacciato. E allo stesso modo Croccolo sa bene che il capitano cercherà di assumersi quanto più potrà il merito dell’impresa. Gli sembra quasi di sentire le frasi che Rizzi dirà al colonnello (“Un mio uomo di fiducia, ha brillantemente portato a termine l’operazione che gli avevo affidato”)…ma a questo punto ha solo voglia di riposare e godersi la vacanza che gli spetta di diritto. Che il capitano brighi pure quanto vuole, tanto tutti e due sapranno sempre chi è stato a risolvere il caso e chi invece ci ha fatto la figura dello stronzo!
Rizzi si alza in piedi e un po’ perché sa di essere in debito, un po’ perché è untuoso di natura, stringe la mano a Croccolo dicendo con un sorriso:
– Certo che, andare così a ficcarsi nella tana del lupo…lei è stato davvero incredibilmente coraggioso…
La madre di Croccolo sceglie proprio quell’istante per comparire trafelata sulla soglia (ha preso il primo aereo da Napoli per venire a coccolare il suo Alessà). Ha sentito l’ultima frase del capitano, annuisce soddisfatta lanciando uno sguardo fiero al figlio ed esclama:
– Chillo è poco ma sicuro: fa 30, “‘e ppalle d’o tenente”!
FINE
Paolo Pozzi
Associazione culturale Giallo & Co.

 Via Peschiera, 1 – 20154 Milano Tel. 02345350

 Il sogno di Luca - racconto

Il sogno di Luca – racconto

di Roberto De Giorgi 

Luca non si dava pace, la morte tragica del fratello Gianni e della cognata Paola, aveva prodotto un lacerazione nell’animo. Il fatto era accaduto due mesi addietro, ma il lutto non s’era acquetato nel ricordo; un fratello che uccide la moglie e poi si spara, non è un evento che si riesce a sedimentare od a elaborare. No! E’ un fatto talmente violento che spinge a continue domande che iniziano con il “perché”: perché è accaduto? Perché l’ha uccisa e s’è ucciso?

L’altro fratello Alfredo, non era andato al funerale poichè malato di cuore, non sopportava di vedere gente in lacrime. Solo la cognata, Chiara, aveva partecipato, ma se n’era stata sola lì, in fondo alla chiesa.

Una notte Luca sogna Gianni che, indicando con la mano la moglie Paola, oscilla il capo come per dire no.

Luca si sveglia tutto sudato, Cosa vorrà dire questo sogno? Cosa voleva dire Gianni? Voleva fiori sulla tomba? E perché indicava la moglie? se l’aveva uccisa, come mai lei stava accanto a lui?

Quella mattina Luca andò al cimitero. Sulle due lapidi c’erano fiori freschi. Era sicuramente stato Alfredo a metterli. Cosi decise di andare a trovare il fratello nel suo tabacchino.

Ciao Alfredo
 Uelà Luca, finalmente ti fai vedere, o sei venuto per giocare al lotto?
 Non scherzare, Alfredo, lo sai che, dopo la morte..
 No, per favore, basta con ’sta storia, cerchiamo di riprenderci la vita – dice Alfredo con fare stizzoso, poi addolcendo la voce, si rivolge al fratello, dicendo

Lo sai che il cuore, non regge.

Luca decide di raccontare ad Alfredo il sogno, mentre questi continua a servire i clienti, ad un tratto si accorge che questi assume un colore verde. A questo punto interrompe il racconto ed esclama:

Alfredo sei diventato verde?
 No Luca. è una reazione alle medicine che prendo – poi, diventando scherzoso, prende il fratello per le spalle e gli dice:

Vuoi vedere i miei progressi in pranoterapia? Concentrati su un pensiero e vedi.

Luca, stretto fra le mani di Alfredo, si concentra, all’improvviso si mette in funzione la stampante del computer ed esce un foglio con un nome: Gianni” .

Alfredo prende il foglio e gli dice:

Lo vedi? E’ il tuo pensiero fisso
 Non prendermi in giro, è solo il tuo comando vocale alla stampante, l’hai preimpostata.

Non mi credi? – Alfredo è contrariato

ti metto le mani sulla fronte, concentra tutto il tuo corpo su di un unico pensiero –

Cosi facendo lo tira a sé, stringendo le mani sulle tempie. Luca sembra concentrarsi e, ad un tratto, libera una rumorosa flatulenza, con grande imbarazzo di tutti.

Chiara, senza alzare gli occhi dal giornale che stava leggendo, gli dice:

Luca, dovresti pulire l’intestino.

Nei giorni seguenti la vita riprese, anche se lentamente. Forse lo scherzo di Alfredo era riuscito a riportare a Luca alla quotidianità. Ma il sogno, che non aveva più fatto, ritornava ogni tanto nei suoi pensieri. Era il ricordo del fratello a cui associava sempre quello scuotere della testa.

Un giorno, per caso un suo amico che lavorava in tribunale, gli raccontò l’iter dell’indagine eseguita dopo la morte di Gianni e la moglie. Il magistrato di turno, forse colpito da quella scena di sangue su quel letto, aveva chiuso la vicenda con il suicidio. Ma l’amico aveva aggiunto:

In questi delitti notturni si deve indagare, perché è raro che uno si svegli in piena notte, uccida e si suicida.

Quell’amico aveva detto una cosa importante che Luca collegò al sogno. Forse Gianni, dicendo no con la testa, avrebbe voluto dire: “non ho ucciso Paola” .

Luca tornò da Alfredo per parlare del dubbio dell’amico cancelliere, ma il negozio era chiuso. Andò a casa e non c’era. A questo puntò chiamò sul cellulare non erano raggiungibili, né lui, né Chiara.

Tornato a casa cercò di ripercorrere con la mente la vita passata ed i rapporti famigliari. Gianni ed Alfredo si frequentavano spesso, anche perché Gianni era un giocatore abitudinario del lotto.

Nel frattempo, dopo una settimana, Alfredo si fa vivo o lo chiama al telefono. Luca, quasi l’aggredisce:

Ma dove cazzo siete stati?
 In montagna, una settimana bianca – Alfredo, dall’altro capo del telefono, sorride
 Potevi avvisarmi, no?
 Scusa è stata una scelta improvvisa, e, poi, in montagna, non c’è campo.

Nei giorni seguenti Luca pensò alla gita di Alfredo. Il fratello era un spilorcio noto, sempre senza soldi, e questa vacanza era del tutto straordinaria. Come se avesse vinto una lotteria.

Decise di chiedere chiarimenti al fratello, ed Alfredo confermò di aver vinto tanti soldi e si offrì di prestargliene.

Luca era inquieto e cercava di capire. Per un sesto senso non volle esternare i suo dubbi. E chiese consiglio all’amico che lavorava al tribunale. Questi lo raggiunse in un bar.

Cosa c’è?
 Il sogno, capisci, Gianni mi dice che non ha ucciso e, quindi, non s’è ucciso, poi c’è la reticenza di mio fratello Alfredo, il fatto che ora ha cambiato vita con una grossa vincita.

L’amico stette un po’ in silenzio. Poi riprese il discorso

Vedi Luca, in tribunale arrivano tante storie di uccisioni per interesse, per soldi.

E che c’entra Gianni? Lui non era ricco
 No, però giocava sempre?
 Si, nel negozio di Alfredo…

Luca si rabbuia, strizzando gli occhi. Chiede all’amico come fare per sapere la verità. L’amico cancelliere risponde che ne parlerà con il magistrato.

La notte seguente Luca sogna di nuovo Gianni. Stavolta è in un posto incantevole ed il fratello e la cognata si tengono per mano.

Quando si sveglia, Luca è determinato e va in Tribunale, il magistrato è stato informato dall’amico cancelliere e riapre il caso. Viene acquisita copia della scheda vincente di Alfredo e sottoposta a controlli per verificare impronte ed altro.

Si verificherà, in seguito, che la scheda vincente, è stata manipolata dalle mani di Gianni e Paola, addirittura su un lato c’è una impronta di labbra, come se una o uno l’ avesse voluta baciare.

Alfredo messo alle strette confesserà l’omicidio. Aveva preso la giocata vincente di Gianni e l’aveva intestata a stesso. Gianni se n’era accorto e voleva denunciarlo. Alfredo che aveva doppie chiavi, della casa di Gianni, s’era introdotto di notte, con una pistola con il silenziatore, aveva ucciso il fratello sulla tempia e poi, messa la pistola in mano all’esanime fratello aveva sparato a Paola che s’era alzata sul letto svegliata da quel forte rumore sordo.

Il sogno di Luca aveva portato alla verità

Fidarsi è bene, non fidarsi

Fidarsi è bene, non fidarsi…

Come la maggior parte dei napoletani, e non solo di quelli, anche Paride Passacantando si dilettava spesso con il gioco del Lotto. I recenti avvenimenti e l’incidente accaduto all’ingegnere de Bustis lo avevano stuzzicato e influenzato. Non sapendo quali numeri scegliere chiese lumi a Totò, l’impiegato d’archivio col quale talvolta si frequentava. Questi sgranò gli occhi e alzò le braccia al cielo:

– mi spiace Paride ma io non lo so, ma é possibile che un giocatore come te non conosca donna Nannina?

– no, e chi sarebbe?

– chi sarebbe?  Chi è, devi dire! È una donna straordinaria, una veggente espertissima che dà sempre buoni consigli a tutti. Io ci vado spesso e per soli 10 euro ti risolve qualsiasi problema; certo, per quelli grossi ci vuole più tempo e più soldi… ma nel tuo caso… vai tranquillo!

– ma sei sicuro? E dove abita?

– azz’ sicuro? Sicurissimo! Vai al vico del Munaciello de’ Funtanelle alla Sanità e domanda di lei, la conoscono tutti, e dille che ti mando io.

– grazie assai Totò, si ‘n’amico.

statte ‘bbuò Passacantà

Non appena ebbe un po’ di tempo libero Paride andò alla ricerca di donna Nannina. Si perse a lungo tra vicoli e vicoletti e si stancò parecchioper rintracciare la strada ma, alla fine, scorse la targa stradale che lo interessava. La viuzza era stretta e lunga e Il cielo s’intravedeva appena tra le decine di panni stesi al sole ad asciugare, appesi a corde e vecchi cavi telefonici che andavano da un caseggiato all’altro. Lenzuola, camicie, mutande e pantaloni sventolavano pigramente, per una lieve brezza, come il desolato gran pavese di un’antica decrepita nave. Vecchie travi di legno puntellavano alcuni vetusti edifici, fittamente abitati, e tuttavia ancora pericolanti in seguito al terremoto di molti anni prima. Due ragazzotti che, senza casco, passavano con un motorino, rallentarono; forse per controllare se Passacantando recasse con sé qualcosa che meritasse di essere scippata. Delusi, sgommarono via con una smorfia.

Una vecchietta sdentata, seduta su di uno sgabello sgangherato davanti all’ingresso del suo “basso”, vendeva lupini e pane fatto in casa che magnificava con voce stridula e farfugliante. Passacantando le si avvicinò imbarazzato:

– scusate signò, sapete dirmi dove abita donna Nannina?

La vecchia lo squadrò, diffidente, con due occhietti arrossati e tracomatosi, poi sputacchiò:

‘a ianara? ma tu che ‘vuò ‘a ‘onna Nannina? Si nu guardio?

– no, no, signora… sono un amico, vengo da parte del mio collega Totò della CI.PER.TRAL.

ah, aggi’ ‘ntiso, tu appartieni a chella capa ‘e provola ‘i Totò. Allora va ‘nnanz’ a ‘o secunno vascio a deritta.

– grazie signò.

‘a Maronna t’accumpagna.

Il “basso” dell’indovina era circondato da un muretto con relativo cancello, e con diversi vasi di fiori, abusivamente costruito sul piccolo marciapiede. Superata, come avvenuto in precedenza, la diffidenza del guarda – porta: un omone calvo e sudaticcio, Passacantando fu ammesso alla presenza di donna Nannina alla quale raccontò cosa fosse successo in azienda e il proprio desiderio di individuare i numeri adatti per poterli giocare al Lotto.

La donna, una napoletana dalla carnagione scura sulla quarantina, aveva, per contrasto, due occhi azzurri chiarissimi e quasi ipnotici. Un bel viso ovale di gradevolissimo aspetto che affascinò e intimidì ulteriormente il suo nuovo cliente. Portava un turbante sul capo e sul tavolino posto davanti alla sua sedia, ricoperto da un tappeto di finto damasco, non si trovava l’usuale palla di cristallo, bensì un teschio umano ingiallito.

– amico mio – disse donna Nannina in un italiano apparentemente perfetto e con un tono ricercato, – io i numeri non li conosco e non te li saprei suggerire, ma ora mi metterò in contatto col mio spirito guida qui presente che, se vorrà, te li saprà dare.

Accese due candele nere poste ai lati del tavolino, e un bastoncino d’incenso che cominciò a spargere un profumo intenso e penetrante, la donna chinò il capo mormorando misteriose incomprensibili parole, poi, di scatto, levò la testa, s’irrigidì mostrando il bianco degli occhi e con voce cavernosa e mascolina borbottò:

– la cravatta fa 78, la caduta 56 e i lamenti 60… e mo vattènne che m’hai ammosciato.’

Un dondolare di testa a destra e a sinistra, un lieve lamento, e con aria disfatta e affaticata donna Nannina riprese il suo aspetto naturale. Dapprima contemplò con aria vagamente stupita il suo interlocutore, come se si fosse appena ridestata da un sogno e non lo riconoscesse, poi mormorò con un sorriso:

– com’è andata? Hai avuto i numeri? Lo spirito ha parlato?

– sì, sì, grazie – balbettò Passacantando che, ancora terrorizzato, se li stava scrivendo su di un biglietto dell’autobus.

. bene, sono contenta, arrivederci presto e vai con Dio.

Traballando, Paride salutò e si avviò all’uscita ma qui una mano di ferro gli strinse il braccio trattenendolo.

– guagliò, e l’onorario? – chiese minaccioso il guarda – porta

– ah, sì, perdonate – mormorò ancora confuso Passacantando – quanto devo?

– trenta euro.

– Totò mi aveva detto che…

– che cosa? Ma lo sapete che fortuna avete avuto? Lo spirito non parla con tutti. Avete qualche problema?

– no, no, nulla, scusate tanto – e messa mano alla tasca ne trasse cinquanta euro.

– va bene così, non tengo ‘o riest’, vuol dire che la prossima volta donna Nannina vi farà uno sconto – brontolò l’omone.

Frastornato, Passacantando affrontò il lungo cammino per tornare a casa a piedi. Non gli era rimasto neppure il denaro sufficiente per prendere l’autobus.

Dado e Spago ( Il giuocator del Lotto)

Dado e Spago ( Il giuocator del Lotto)                             

Ormai va la Serva, per te, a giuocare al Botteghino, va la Serva, ma scoverto s’è che v’è calcolo non rinfusa:
sol nei giorni di pantano,
sempre tre volte ogni mese, anno oppure lustro
e sol( per posta) trenta soldi,
“Come Giuda Iscariota!” sbavula il curato facendo Croce in aria come maledisse…
Però tutti la fan passare la comare, perche MAI, finchè ciarla ( come è solita) a gesti e smorfie ( che pure è sorda come la Miseria e cieca come la Vittoria) ai rondini e ai colombelli in Piazza o in Vicolo, MAI,dico, MAI si saprà il giorno buono, il mese, l’anno o l’altro che la muove e solo a posteriori si divinano gli incastri:
tre dondoli di campana ( ma a morto),
marzo entrante ( ma in altro calendario, non più d’uso),
tre volte pioggia ( ma in Eclissi) ,
tre diligenze al passo ( ma sol una con cocchiere ),
tre nati da tre anni ( ma uno foresto e ormai al pascolo del vento…).
Quindi …
dico…
insomma…
come dissi tutti trascorrere la fanno la megera, e lei va, come è solita, mane dopo mane, sdentata sega sulla sughera tarlata e quando non ciarla ai pennati alati , ciancia agli Olmi del Passeggio Grande,
ai nidi dei cornici,
ai vespai e perfino alla reclame dilavate dell’ultimo serraglio entrato in villa e bighellona, la bimba, assai dalchè
( come se bastevole non fosse l’esser sorda e cieca) è puranche pazza, “Curva” come qui si dice, o può darsi che finga molto bene assai in quanto sempre al tre ci porta constatarlo…
Tu, “Giuda Iscariota” la spii e spiato sei chè il fico secolare che stassi nel cortilone sol occhi appesi porta di meditanti Nostradami (e quando declina la stagione non un solo gonfio e pesto frutto cade, che son tanti e quasi viola, e nessun becco vi si posa) perchè proprio di retro o avanti c’è il finestrone invetriato alto piantato nel terrazzo forgiato a guisa di una prora con il Rostro aguzzo in cima e numeri attorno in confusa processione, così l’uncino fa meridiana a chi guarda di sbieco il tempo suo aspettando l’estrazione…e aguzza e curva, la sua punta, forse taglia il tempo come lino e la malia che ci possiede tutti

 

interno di un banco lotto

 

[Dovete sapere che il Banco del lotto,ormai in via di estinzione,perché soppiantato dalle ricevitorìe semiautomatiche e asèttiche,dove si gioca di tutto,è stato per decenni,un luogo sospeso tra metafisica e socialità,un porto franco,dove si incontravano le realtà  più disparate, ma omologate dalla stessa febbre della speranza, del convincimento di un imponderàbile che sfuggiva all’umana comprensione, e che proprio perciò, andava interpretata, scrutata, sfidata.
L’impiegato addetto al banco ricevitoria,veniva chiamato abitualmente o pustièro,  ( dal tèrmine “pòsta” ) oppure “officiante”, etimologicamente più complesso,che deriva dall’”officiata”,cioè la cerimonia ufficiale con la quale si annunciava (e si annuncia ancora adesso) l’estrazione. Dal che anche il vecchio adagio : “ a speranza d’ò falluto, è a bbòna officiata” ,( l’ùltima speranza del diseredato, è un’estrazione favorevole).
Naturalmente la figura del ricevitore era assai importante,perché la sua capacità di consigliare,di discèrnere,di interpretare il sogno o la situazione abnorme,era basilare, Egli consigliava comprensivo e paziente, naturalmente a voce bassa, affinché le energie oniriche non si disperdessero e si contaminassero con altrettanti sogni episodi di persone in attesa… Inoltre egli aveva una caratteristica, unica e comune a tutti i colleghi delle altre ricevitorie di Banco lotto , aveva una calligrafìa particolarissima, per cui i numeri, venivano scritti in modo quasi incomprensibile, Sembravano più geroglifici che numeri àrabi.
 Bastava fermarsi per giocarsi un ambo, e ci si calava in una realtà teatrale e reale che era uno spaccato di vita di questa città. Giovani e vecchi, ricchi e poveri,uomini e donne, senza distinzione di censo, èrano gli interpreti della commedia della vita, composta dai personaggi più variegati, ma tutti uniti dal filo invisibile della speranza. C’è chi si portava “à libretta”,  ( un taccuino) dove annotava i numeri da giocare, e chi,invece, se li inventava lì per lì, perché aveva incontrato un tipo strano, o perché gli era successo un episodio inaspettato.
Ma la figura del giocatore più interessante, era quella di chi aveva fatto un sogno,ed era lì per interpretarlo nel modo corretto .Il dialogo seguente,surreale e grottesco,è una testimonianza di quanto detto fin’ora. Si è svolto verso mezzogiorno,in una delle ultime ricevitorìe del centro storico,dove mi sono recato per una giocatina. Personaggi e intèrpreti : l’impiegato allo sportello (anziano,comprensivo,disponibile,capelli pochi e bianchi,occhialini sul naso,sembra mastro Geppetto), due donne,mamma e figlia,di chiare origini popolane. La madre sulla settantina,un po’ sorda e acciaccata,e la figlia che cerca di spiegare il sogno all’impiegato,chiedendo conferma alla madre.
L’impiegato, chiede,  allora “ e carabiniere s’hanno levate è scarpe e so trasùte tà chiesa”, ( i carabinieri si sono tolti le scarpe e sono entrati in Chiesa).
 la Figlia  pronta risponde,  “gnorsì”.
L’impiegato, chiede : “ è scarpe erano nòve o cunsumàte ? “ ( le scarpe èrano nuove o consumate).
  E la mamma risponde : “ nun me ricordo, nun g’iagge fatte caso”. ( non ricordo,non ci ho fatto caso).
 E la figlia, conciliante  risponde, : “ vabbè, ma sempe scarpe so, nun facite ò difficile”,  ( vabbè, sempre scarpe sono,non fate il difficile !
 L’impiegato:  spiega,“ signò,vuje pazziate ? Chelle è scarpe consumate fanne 24,chelli nòve  75”, ( signora volete scherzare ? Le scarpe vecchie fa 24,quelle nuove 75.
 La Figlia, chiede   : “ oi mà ! Tè ricuorde o no ? “ ( Mamma,ti ricordi o no ? ).
 La Mamma risponde : “ vuje a mè chè vvulìte, chille era nù suonno e me l’agge scurdate”, ( cosa pretendete da me ? Era un sogno e me lo sono dimenticato).
L’impiegato :  con pazienza,“ e vabbuò,allora è scarpe nun c’è mettimme”.. ( vabbè,allora le scarpe non ce le mettiamo).
 La Figlia,  risponde : “ o vèro ? E pecchè ? Chell’ha vviste e scarpe”. ( davvero e perché ? Lei le ha viste le scarpe).
L’impiegato, un po’ stanco risponde.  :”n’ata vota ! E mò ve l’agge spiegate ! ( un’altra volta ? Adesso ve l’ho spiegato).

 E la figlia, dice all’impiegato : “ vabbuò, ca tra mamma cà s’è scemenuta e vvuje ca facite ò difficile, me pare camma scrivere nù strumento ! “ ( qui,tra mia mamma un po’ svanita dagli anni e voi che fate il difficile,sembra che dobbiamo redarre un atto notarile).
 L’impiegato,risentito, risponde : “ bellafè ! Cà strumente nun se ne fanne,! decìteme chè vvulite jucà e facimme abbrèsse” ! ( belladonna,qui non si fanno atti notarili,ditemi cosa volete giocare e facciamo presto).
A quel punto,un signore anziano,piccolino,con fare educato dice : “ signò ! Permettete nù parere ? “ La donna,tra il nervoso e il sospettoso,fa : “ dicite”, ( Dite pure). Il bassetto osa : “ si è carabiniere s’hanne levate è scarpe, vuol dire ca le facèvene male, erano stanche, pecchè avèvane camminate”. ( se i carabinieri si sono tolti le scarpe,era perché gli facèvano male,forse a causa del lungo cammino e perciò erano stanche), continuando. “ perciò è scarpe erano vecchie, nu putèvano essere nòve” ,( per cui le scarpe erano consumate,non potèvano essere nuove).
Per lunghi secondi, nella ricevitoria,il tempo si è fermato. Il ricevitore, con lo sguardo al di sopra degli occhialini, guardava con aria interrogativa la signora anziana, che a sua volta guardava la figlia , immobile, a scrutare e soppesare le parole dell’anziano intervenuto. Sùbito dopo, un brusìo di approvazione, liberatorio, da parte anche degli astanti..ha sciolto l’arcano dilemma. La donna,rivolta al ricevitore gli fa : “ allora mettimme è scarpe vecchie,  “ e il ricevitore,alzando gli occhi al cielo : “ assa fa a Madonna” !! ( Grazie Madonna per il tuo intervento)

FIABA CABALICA

La signora Carmela spalancò di colpo gli infissi di legno
della sua vecchia casa situata nel centro storico cittadino
e strofinatosi gli occhi accecati dal sole pensò che quella
fosse una bella giornata una di quelle in cui senti
la fortuna baciarti la fronte ed invogliarti
in mille progetti per sogni sospirati.
La signora Carmela dall’aria bonaria tonda pienotta
con un sorrisino che la sa lunga, a conoscenza
di tutti fatti del vicinato donna pia che si reca
in chiesa quasi ogni giorno per non addolorare
con la sua mancata presenza il buon signore
di donna timorata e devota come lei sempre và dicendo d’essere.
In paese la conoscono tutti ,le strade lì sono
lisce scure e strette per lo più portano
su in collina si percorrono a passo lento
costringendoti ad ammirare le vecchie botteghe
degli artigiani alcuni ultimi rampolli d’antiche famiglie
lavoratori di legno e fini cesellatori .
Carmela gli piace andare in giro con la scusa di dover andare
a far la spesa ,s’avventura per le larghe piccole contrade
piene di gente che corre in fretta a lavoro alle prese
con i propri pensieri alcuni che ragionano con se stessi
presi dai tanti problemi d’ordinario vivere.
Mercati d’ogni genere puoi trovare in ogni angolo di via,
bancarelle piene d’ogni cosa, panni usati , oggetti antichi
accendini fatati ove il genio appare tra la fiammella ed esaudisce ogni desiderio. Mercati di vecchi mobili di sedie e tavoli
di legno pregiato ove si sono seduti a pranzare onesti e nobili famiglie di gran lignaggio,altra gente abbattuta
con gli occhi umidi di pianto per la morte d’un loro congiunto.
Mercati di sante reliquie e di tante altre cose
meravigliose come libri scarpe fatate con cui puoi correre
a cento all’ora stando attento però nel frenare
tale corsa si corre il rischio
di consumare il tacco o di forare la suola .
Carmela in questo mondo di venditori locali e mediorientali
con i loro visi piatti e ossuti si perde in tante meraviglie
a tal punto da sentire di ritornare fanciulla.
Il mondo casalingo di Carmela è un mondo austero una misera cucina dove lei ogni ora del giorno prepara qualcosa di buono
ora per il marito di ritorno da lavoro ora per i figli di ritorno
da scuola mai una svago una nuova veste con cui poter
andare altera da mostrare alle sue vicine di case o alla salumiera
dove ella si reca a comprare il pane ogni giorno.
I soldi sono pochi e Carmela non sà mai come fare
così s’arrangia avvolte quando diventava assai difficile
andare avanti con i pochi soldi dello stipendio del marito
s’improvvisa donna delle pulizie in casa della signora
Bice moglie dell’ingegnere Martino .
Per otto euro all’ora spolvera e ramazza,
lava e mette a posto l’intera casa.
La vita grama e restrittiva l’addolora assai ed in cuore
suo è sempre vivo il desiderio di vincere al banco lotto
un cospicuo premio per poter vedere un giorno
schiattare dall’invidia mezzo mondo .
S’andava ripetendo tra sé ah se potrei indovinare
tre numeri a lotto quante belle cose potrei comprarmi .
Farei pure io la vita della signora riverita con una donna
delle pulizie che mi viene a fare i servizi in casa .
Comprerei un palazzo , un castello una macchina
lunga trenta metri una casa al mare è un altra
in montagna, sarei chiamata signora e non più
Carmela la chiatta come mi chiamano per sfottere
quelli della pizzeria ove vado a prendere la pasta
per fare la pizza in casa.
Mangiare a pranzo ogni giorno maccheroni , fritto di pesce
baccalà e sfogliatelle, dolci in quantità.
La sua felicità era sperare di vincere un giorno al banco lotto
con dei buoni numeri cosa che avrebbe cambiato senz’altro
la vita sua e quella della sua famiglia.
Dare così un futuro di serenità ai figli suo e non vedere
più suo marito afflitto e sconsolato ritornare a casa sempre
più depresso. Di nascosto Carmela due volte a settimana
si gioca vari numeri alcuni sussurrati a detto suo in sonno
dalla madre sua defunta o da suo nonno Giuseppe
anche lui in vita accanito giocatore del lotto.
Ma nulla vince ed ella ne rimane male assai
m’ arrendersi a tale sorte mai gli passa per il capo.
Posseduta dal quel demone del gioco la pia donna non sa più cosa inventarsi ,tradurre in numeri eventi e fatti sogni e avvenimenti
che possono portargli fortuna nell’azzeccare tale sospirata vincita.
Di notte và a dormire con la speranza che qualche
caro suo estinto gli viene a sussurrargli
i numeri vincenti della prossima estrazione settimanale.
Sul suo taccuino segreto segna ogni cosa.
Un giorno si rivolse pure da una cartomante famosa, per aver tramite lei un incontro a faccia a faccia con qualche spirito
dell’aldilà capace di chiaroveggenza e di carità per lei
Afflitta da quel meschino scopo del vincere a lotto ad ogni costo.
La fattucchiera gli spillò l’intera paga mensile delle pulizie eseguite in casa dell’ingegnere Martino senza arrivare
a nessuna conclusione .
Disperata non sapendo più a chi santo
rivolgersi decise un giorno di farla finita .
Nella sua disperazione si recò in farmacia e comprato
del veleno per topi l’ingerì e distesa sul letto aspettò
che la morte venisse .
A casa quel giorno non c’era nessuno ella pianse assai
per quel suo gesto insano ma attraverso la morte ella sognava
una vita migliore per i suoi figli.
Una volta lei passata in altra vita avrebbe senz’altro consigliato
dei numeri vincenti a suo marito o ai suoi figli in sonno.
Una ragione per sentirsi felice per quel suo destino crudele
Legati a numeri ingrati che mai avevano arriso la sua vita
con una gioia inaspettata , facendola ritenere una donna
fortunata e non una vittima di sogni e lutti derivati
dal fatidico lotto che un bel dì l’ aveva spinta alla morte.
La fortuna ha le gambe corte e per giungere in aiuto
d’ognuno che la cerca, ella impiega molto tempo avvolte
come nel caso di Carmela mai giunge arrecando
disperazione e lutto oggetto d’interpetrazione
per delle prossime future estrazione al lotto .

RACCONTIultima modifica: 2011-11-14T01:26:00+01:00da io-ei90numeri
Reposta per primo quest’articolo