Il lotto. Storia e mercato. Per un’analisi della seconda giornata di gioco. Il caso salernitano – TESI di LAUREA

 
 Il lotto. Storia e mercato

Curriculum vitae di Massimo Corvino

Il lotto. Storia e mercato. Per un’analisi della seconda giornata di gioco. Il caso salernitano
Studi
Laurea in Scienze della Comunicazione
conseguita presso: Università degli Studi di Salerno
nell’anno 1997-98
con una votazione di 110 e lode
Diploma di maturità conseguito presso il Liceo classico
con votazione 58/60°
Conoscenze informatiche discreto livello

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INTRODUZIONE

Recentemente, si è potuto assistere nel nostro Paese a una

moltiplicazione delle modalità e delle opportunità offerte a chi

voglia tentare la sorte attraverso i meccanismi dei giochi gestiti

dallo Stato, con l’introduzione delle lotterie istantanee,

l’accostamento di nuovi sistemi di gioco, come il totogol e il

superenalotto, a quelli già esistenti, l’ammodernamento e il

potenziamento di quelli più tradizionali, come è accaduto per le

lotterie nazionali, più che raddoppiate negli ultimi anni, e per il

gioco del lotto. Tutti gli attori del sistema hanno svolto appieno il

proprio ruolo: lo Stato, rivelatosi accorto conoscitore della

propensione al gioco e delle tendenze dei giocatori, ha promosso la

diffusione e la diversificazione dei giochi, in modo da potersi

rivolgere al più ampio spettro possibile di “consumatori”; i massmedia

hanno fatto da cassa di risonanza del fenomeno, dedicando

spazio alle notizie di vincite clamorose e anonimi baciati dalla

fortuna; i giocatori hanno risposto positivamente con l’aumento

delle giocate e delle somme impiegate. Non è difficile, di questi

tempi, seguendo un telegiornale o sfogliando un quotidiano nei

giorni a ridosso delle varie estrazioni, apprendere di incassi record

o montepremi inusitati messi in palio, a volte accompagnati

dall’implicito invito a partecipare, informando sulla scadenza dei

termini e sulle modalità di gioco. Tutta l’Italia sembra percorsa

dalla febbre del gioco. In questo processo, non tutto è andato

sempre per il verso giusto, come si è potuto constatare in seguito

alla crisi che ha colpito le lotterie nazionali, dovuta a una contestata

estrazione della più famosa delle lotterie italiane, oppure la

vicenda di alcuni tagliandi delle lotterie istantanee che risultavano

vincenti per un errore di stampa. Nonostante gli incidenti di

percorso, le novità legate ai giochi hanno preso piede e si sono

saldamente affermate presso il pubblico, arrivando a toccare e

modificare anche il più tradizionale dei giochi italiani, il lotto. E’

proprio il lotto, con la sua storia secolare, a rappresentare la punta

di un iceberg di un fenomeno in espansione. I dati mostrano, in

maniera ineccepibile, come il lotto si collochi al vertice della scala

dei giochi in auge nel nostro Paese e come questo non abbia subìto

colpi d’arresto dai cambiamenti intervenuti negli ultimi tempi. E’

interessante constatare, infatti, come la tradizione sia passata

indenne e si sia rafforzata con le novità introdotte, a partire

dall’informatizzazione per finire con la doppia estrazione

settimanale, che le hanno dato una spinta propulsiva. A ben vedere,

le ultime variazioni non sono state le uniche nella storia del lotto,

ma esso ha subìto alterne vicende dalla sua introduzione ed è

arrivato sino ai giorni nostri, resistendo a polemiche roventi che nel

passato hanno visto protagonisti grandi figure di letterati, politici,

pontefici e sovrani. La prima parte di questa tesi riguarda, perciò,

l’evoluzione storica del gioco del lotto, mentre la seconda affronta

vari aspetti del gioco e riporta i risultati di una indagine da me

effettuata su un caso odierno, come quello del gioco nella città di

Salerno e il confronto di tali dati con quelli nazionali.

PARTE PRIMA – CAPITOLO I°

Le origini: il lotto a Napoli tra Sette ed Ottocento.

Il gioco del lotto fece la sua prima apparizione nella Repubblica di

Genova, verso la seconda metà del XVI secolo, quando si decise

che i cinque componenti del “Serenissimo Collegio” destinati a

sostituire quelli uscenti ogni sei mesi, dovessero essere sorteggiati

fra i centoventi candidati, ridotti poi a novanta, nominati da tutti i

cittadini.

I nomi venivano trascritti, imbussolati e infine inseriti in un’urna

per l’estrazione, chiamata “seminario”. I cittadini scommettevano

sui cinque nomi (similmente a quanto accade oggi con il cosiddetto

totoministri), dando vita in breve a un “Monte delle Scommesse”

che raccoglieva le giocate. Il governo cercò di scoraggiare il gioco

con varie sanzioni, ma nel 1642, vista l’inefficacia delle

disposizioni, decise di regolarizzarlo e di applicarvi un’imposta.

Con varie forme, come la concessione in appalto a privati, gioco

libero o monopolio governativo, il lotto si diffuse negli altri Stati

italiani e quindi anche a Napoli, dove arrivò nel 1682.

Questo gioco rappresentava una favorevole occasione per le casse

erariali di molti Stati, sulle quali gravava di solito il finanziamento

di logoranti campagne militari e, non a caso, a Napoli venne

introdotto all’indomani della guerra di Messina, che aveva

prosciugato i fondi del governo.

Dopo pochi anni, il lotto fu abolito, ma i napoletani continuarono a

giocare sulle estrazioni di altre città. Il danno procurato fece in

modo che il gioco fosse ripristinato nel 1712 e dato in appalto a

privati. Il lotto a Napoli diventò subito popolarissimo e attecchì

presso tutti gli strati della società cittadina, diventandone col tempo

un forte fattore di caratterizzazione culturale, tant’è che ancor oggi

si tende a identificarlo con la città stessa. Del resto, già era

presente, anche in altri Stati, un retroterra consolidato di lotterie

nazionali, giochi a premi ed altre forme di scommesse più o meno

legalizzate sul quale si innestava il nuovo gioco. Per esempio, nel

Quattrocento, in alcune città italiane, i vari governi promossero

lotterie “blanches”, che prevedevano la vendita di biglietti bianchi

perdenti o con un testo riportante il premio vinto, mentre a Firenze

nel 1530 si tenne la prima lotteria con premi in denaro1. A Napoli

le scommesse e i giochi d’azzardo erano praticati abitualmente nel

500 da soldati, marinai, mercanti e nobili facoltosi, ma solo in

luoghi appositi come castelli e quartieri militari, per evitare che

alcune categorie ritenute più vulnerabili rovinassero le proprie

sostanze. Un esempio era costituito dalle norme che vietavano la

partecipazione ai giochi ad ecclesiastici ed ai cosiddetti “figli di

famiglia”, ovvero i rampolli di ricche casate, che avrebbero potuto

impegnare il patrimonio familiare. Per questo motivo il lotto,

quando venne reintrodotto nel secondo decennio del XVIII secolo,

era ancora gravato dalla condanna morale che lo accomunava al

resto dei giochi d’azzardo. Nel 1727 arrivò anche la scomunica di

Benedetto XIII e così gli “ecclesiastici […] non solamente non

giocavano più, ma consigliavano che, per non entrarsi in scrupolo,

conveniva non giocare”. Ciò diede adito alla richiesta dei

concessionari del lotto di Napoli di abbassare il canone,

lamentando una caduta del numero dei giocatori. Il problema si

risolse per opera della stessa Chiesa che, nel 1731, con Clemente

XII, riammise la pratica del gioco. Sebbene il fenomeno delle

lotterie fosse comune nel 700, il lotto, nel suo processo di

diffusione, si configura come un gioco praticato dalle popolazioni

latine e meridionali, perché, come sostenne J. Durant de Saint-

André nel 1891, “les peuples du Midi sont, par tempérament,

extremament portés vers les jeux de hasard”, oppure, come

scriverà più tardi Carlo Weidlich, perché: “La psiche napoletana e

siciliana è naturalmente tratta ad adorare l’imprevisto, il rischio e

l’avventura: quindi il giuoco del lotto incontra necessariamente le

simpatie dei meridionali”. Queste tesi si possono inscrivere in una

corrente di pensiero etnografica che, basandosi sulla popolarità dei

giochi d’azzardo un tempo fortemente praticati in Paesi come

Cuba, Brasile, Guatemala, Nicaragua, Colombia, Messico, nonché

in Spagna e in Italia, sostiene, per induzione, che il fenomeno sia

caratteristico di “popolazioni relativamente oziose”, costituendo

una “derisione del merito”, che deriva unicamente dal lavoro, dalla

concorrenza e dalla competizione insiti nel mondo capitalista, così

come dice in epoca contemporanea il sociologo R. Callois5. Tale

tesi potrebbe trovarsi in contraddizione con se stessa, qualora si

considerasse che la stessa sfida nei confronti del futuro, lo stesso

rischio di fallire nell’impresa di controllare variabili incerte, sono

elementi precipui del capitalismo, della finanza internazionale e

delle speculazioni borsistiche che compaiono proprio nel XVIII

secolo. Infatti, se si prendono in esame alcuni elementi del periodo

considerato, che vede la nascita del moderno capitalismo, non si

può non notare che le prime grandi imprese si affermano, o

falliscono, proprio in virtù di “scommesse”, vuoi sulla fertilità

delle colonie, vuoi sull’andamento dei prezzi oppure sull’esito di

conflitti militari. Del resto, la fortuna di famose compagnie di

assicurazione, come i Lloyds di Londra, capitale di un Paese di

allibratori e bookmakers, fu procurata da scommesse vinte, per

esempio, contro i pericoli del mare affrontati dalle società di

navigazione. Lo stesso principio animava la concessione dei prestiti

in denaro che, in poco tempo, fece sorgere il moderno sistema

creditizio. E’ quindi in un contesto di forte mobilità monetaria e di

investimenti in operazioni rischiose da parte della borghesia

emergente che si colloca il successo delle varie lotterie. La sfida al

caso appare giustificata a livello sociale come possibile fonte di

progresso economico, ancorchè individuale. Su un altro versante, il

fenomeno è visto come uno strumento utile per finanziare, oltre le

guerre a cui si è accennato, anche l’accresciuta macchina

burocratica delle grandi monarchie e, considerato il gioco come un

fattore ineliminabile, lo Stato doveva “faire tourner au profit de la

chose publique une passion indestructible”. Ciò spiega la ragione

del ricorso al monopolio governativo. Proprio in questa veste,

Carlo di Borbone nel 1735 riorganizzò il lotto napoletano, che già

subiva la concorrenza di quello romano. Il gioco venne pertanto

anche incoraggiato: le estrazioni annuali aumentarono di numero

così come le ricevitorie, aperte “in luoghi lontanissimi, quasi ne’

confini del Regno affinchè non manchi ai giocatori il comodo di

prontamente giocare”. Il lotto di Roma si allineò in pochissimo

tempo all’aumento delle estrazioni napoletane e la stessa cosa

accadde con l’aumento delle quote assegnate ai premi. Allo stesso

tempo, furono repressi i giochi di carte e dadi, le riffe e le lotterie

ambulanti, così come il “piccolo gioco”, ovvero il lotto clandestino,

che potevano rappresentare una forma di concorrenza nei confronti

del lotto o “Lotteria Regale”. Questa, invece, continuò a

diffondersi, lentamente ma progressivamente, fino al periodo del

dominio francese, quando il governo in carica decretò addirittura

l’apertura di ricevitorie lungo tutto il confine con lo Stato

Pontificio. Con il ritorno al potere dei Borbone, nel 1816, il lotto

conobbe il periodo di più grande popolarità, che perdurerà per tutto

l’inizio del XIX secolo, grazie anche alle normative

portarono a cadenza settimanale le estrazioni. Escluso questo

cambiamento, la macchina del lotto restò immutata, seguendo il

solco della tradizione, che, a Napoli, sembrava garantire le fortune

del gioco. Anche la più piccola innovazione, prima di essere

applicata, avrebbe dovuto ricevere il consenso popolare, altrimenti

si sarebbe potuti incorrere in forti manifestazioni di protesta, come

accadde, per citare un esempio, con la tentata introduzione di

un’urna di cristallo al posto di quella in uso, al fine di rendere

trasparente il momento dell’estrazione8. Di fronte al fallimento di

molti intenti di riforma, già nel 1827, lo stesso direttore

dell’azienda affermò ironicamente che “La lotteria si chiama noli

me tangere” e, nel 1833, che “lo spirito di novità profuso dal

Governo Francese per correggere i nostri sistemi si arrestò alla

nostra Lotteria”. Dunque il lotto aveva già assunto i connotati di

una radicata tradizione refrattaria alle novità, se quest’ultime non

godevano dell’approvazione dei giocatori. Ci volle lo

stravolgimento politico dell’Unità d’Italia per interrompere questa

continuità: nel Settembre del 1860 con decreto dittatoriale,

Garibaldi abolì il gioco. Tre anni dopo, con Regio Decreto del 5

Novembre, n° 1534, il Governo Italiano dichiarò il lotto mantenuto

a vantaggio dello Stato, rendendo però più semplice la sua

organizzazione e razionalizzando l’apparato burocratico preposto.

Una serie di leggi regolamentò minuziosamente le giocate minime

e massime, il tipo di bollette su cui erano registrate, le assunzioni

per concorso del personale. Probabilmente, in questo modo si

voleva rendere evidente una volontà di riforma in ogni aspetto della

vita sociale che si rifaceva alla più generale politica piemontese. In

effetti, sulle prime si prevedeva di far scomparire il gioco, che,

nello stesso decreto richiamato, era considerato “temporaneamente

mantenuto”. Erano molte le riserve espresse sulla sua


;

reintroduzione, soprattutto da parte di intellettuali meridionali che,

proprio in quegli anni, si scagliavano contro il vizio del gioco,

ritenuto incompatibile con la nuova Italia, dando il via a frequenti

dibattiti che si protrassero per lungo tempo. Sintomatico è il

discorso di Giustino Fortunato al Parlamento nel 1883: “innanzi

tutto, i simboli e l’apparato del giuoco, non dico già si dileguino,

ma che si attenuino il più che possibile; e lo spettacolo delle

estrazioni, in alcune grandi città, capoluoghi di dipartimento, in

Napoli soprattutto, spettacolo, al quale intervengono assessori

comunali e consiglieri di prefettura, riesca meno solenne, non fosse

che per la dignità dello Stato e la serietà del Governo”.

Comunque, dopo le iniziali diffidenze e il ricorso al gioco

clandestino, i napoletani ripresero a praticare ciò che Matilde

Serao, osservando la realtà a lei contemporanea, definì “l’acquavite

di Napoli”.

Il lotto. Storia e mercato. Per un’analisi della seconda giornata di gioco. Il caso salernitano – TESI di LAUREAultima modifica: 2011-10-14T16:00:00+02:00da io-ei90numeri
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