Analisi economico finanziaria del gioco del lotto e di altri giochi pubblici – TESI di LAUREA

 Analisi economico finanziaria del gioco del lotto e di altri giochi pubblici

La tesi parte da un’analisi storica del gioco del lotto, per approfondire successivamente gli aspetti giuridici dell’attuale gestione e le ripercussioni economiche delle cosidette imposte da gioco. Le imposte da gioco mostrano delle gravi lacune dal punto di vista della chiarezza e quindi qualcosa in questo meccanismo andrebbe rivisto. Inoltre il gioco pubblico potrebbe essere considerato un bene di merito e probabilmente andrebbe regolamentato in modo diverso, visto che il gioco d’azzardo (i giochi pubblici sono comunque dei giochi d’azzardo) può portare a forme di dipendenza. La tesi prende in considerazione anche la contradditorietà della nostra legislazione che da un lato vieta il gioco d’azzardo art 718 e ss. del c.p. e dall’altro permette allo Stato di sfruttarlo come fonte di entrata.
Un altro importante aspetto trattato riguarda i meccanismi economici che stanno alla base delle scelte dei giocatori, meccanismi che sono simili a quelli che li portano a scegliere o meno di rivolgersi a forme assicurative, dall’analisi di questi meccanismi appaiono chiare le motivazioni che inducono all’aumento del numero delle giocate quando maggiori sono i premi in palio (a prescindere dalle reali possibilità di vittoria). Questo spiega il successo che ha riscontrato il superenalotto.

Curriculum vitae di Paolo Morelli

Analisi economico finanziaria del gioco del lotto e di altri giochi pubblici
Studi
Laurea in Giurisprudenza
conseguita presso: Università degli Studi di Firenze
nell’anno 1999-00
con una votazione di 101 su 110
Diploma di maturità conseguito presso il Istituto tecnico
con votazione 52/60°
Lingue straniere
Inglese parlato e scritto: ottimo
Francese parlato e scritto: buono
Conoscenze informatiche ottimo livello

laurea.gif

INTRODUZIONE

Pare che già da qualche tempo, nel nostro paese, sia esplosa la mania del gioco. Giochi di antica concezione, come il lotto, sembrano vivere una nuova giovinezza, facendo registrare introiti sempre maggiori, ed un

successo che probabilmente non ha precedenti nella loro storia.

Tuttavia al gioco del lotto, negli ultimi dieci anni, si sono uniti numerosi

altri giochi pubblici. Essi da una parte allargano l’offerta, moltiplicando le

occasioni di giocare dei numerosi appassionati; dall’altra parte la

diversificano, andando incontro ai gusti di un pubblico sempre più

numeroso e variegato. Il successo dei giochi pubblici porta introiti

considerevoli alle casse erariali, visto che per quanto riguarda la gestione

dei giochi, esiste attualmente una riserva monopolistica. Sembrerebbe una

situazione ideale per lo Stato. Tuttavia al gioco d’azzardo pubblico

potrebbero essere legati altri aspetti meno positivi, ma comunque degni di

considerazione, che se analizzati potrebbero smorzare i facili entusiasmi.

Questo lavoro, partendo, cerca di analizzare le problematiche che da

sempre sono state legate alla gestione del gioco d’azzardo pubblico, fin

dalle sue origini. Nel primo capitolo traccia, quindi, una breve storia del

gioco del Lotto, evidenziandone i momenti fondamentali.

Successivamente, nel secondo capitolo, prende in considerazione l’attuale

sistema di gestione, verificando gli aspetti positivi e negativi legati al

monopolio fiscale ed ai caratteri di imposta che ne possono derivare.

Nel terzo capitolo l’indagine cercherà di comprendere, inoltre, le

caratteristiche intrinseche del bene “gioco pubblico”, attraverso l’analisi

dei calcoli probabilistici, e dell’utilità che ne ricavano i consumatori. Verrà

analizzato il prezzo del gioco ed il concetto di equità applicato al gioco

d’azzardo. Argomenti, questi, riguardo ai quali non sempre gli utenti

sembrano perfettamente informati. Ma proprio questa asimmetria delle

informazioni pone problemi di gestione socialmente efficiente dei giochi

pubblici e potrebbe anche produrre imperfezioni nel relativo mercato .

Il successo riscontrato dal gioco d’azzardo nell’ultimo periodo, ha

sicuramente motivazioni che risiedono nella struttura della società

contemporanea; nel quarto capitolo verrà effettuata, quindi, un’analisi

delle possibili motivazioni che hanno determinato la recente espansione

dei giochi pubblici, per comprendere se questo successo può essere legato,

come sostiene qualcuno, ad una presunta crisi di valori da parte degli

individui.

Nell’ultimo capitolo, infine, verranno prese in considerazione alcune

contraddizioni attualmente esistenti tra le caratteristiche dei giochi pubblici

e la legislazione inerente al gioco d’azzardo. Inoltre verranno analizzati

alcuni degli impatti negativi che il gioco d’azzardo pubblico può produrre

all’interno della nostra società, con riferimento soprattutto al gioco

patologico.

In sostanza l’analisi effettuata in questo lavoro, si propone di comprendere

infine, se il gioco d’azzardo pubblico possa rientrare in qualche modo tra i

cosiddetti beni demeritori. Se così fosse, probabilmente sarebbero

necessarie diverse modalità di gestione per i giochi d’azzardo pubblici.

CAPITOLO I

STORIA DEL GIOCO ISTITUZIONALIZZATO

 IN ITALIA ED INEUROPA

Le origini del gioco pubblico in Italia

Il gioco è un fenomeno connaturato all’uomo, presente in tutte le società

umane. Soprattutto i giochi di sorte avevano, in molte società antiche, ruoli

mistici e servivano ad interrogare il fato sul futuro prossimo. Anche le

lotterie sembrano avere origini molto antiche, visto che tracce della loro

presenza nella storia, sono descritte anche nella bibbia.1

Con il gioco d’azzardo le legislazioni di tutte le epoche più recenti hanno

avuto un rapporto difficile, sembra che l’avversione al gioco d’azzardo ed

al gioco in generale sia un fenomeno medievale. Questo tipo di ideologia

contrastava quelle che erano le usanze precedenti, ad esempio nelle società

romana e nella società greca, i giochi erano previsti e disciplinati (anche se

non si trattava di giochi d’azzardo). Nel Medioevo, al contrario, il gioco

era visto come un elemento che favoriva l’ozio e che acuiva i vizi ed i

difetti umani. (La ratio che determina, nella legislazione attuale, l’interdizione del gioco d’azzardo è per molti aspetti la stessa)

Sembra che il potere politico abbia cominciato ad occuparsi dei giochi

d’azzardo nel 1200, quando alcuni giochi erano già diffusi e praticati in

molti paesi europei. L’atteggiamento governativo generale era quello

proibizionistico, anche se in molte città europee esistevano di fatto dei

luoghi in cui il gioco d’azzardo, benché proibito, veniva praticato, ed era

per lo più tollerato. E’ in questo clima, che varie legislazioni europee

cominciano ad occuparsi del gioco d’azzardo, regolamentandolo e, a volte,

attraverso l’istituzione di case da gioco pubbliche, sfruttandolo come fonte

di entrata monetaria.

Tuttavia soltanto con l’invenzione del gioco del lotto,

l’istituzionalizzazione del gioco d’azzardo assumerà caratteristiche del

tutto peculiari, diventando sostanzialmente una fonte di entrate erariali

sufficientemente sicura.

Pare che l’origine della parola italiana “lotto” derivi dal francese, per

l’esattezza deriverebbe da “lot”, un’antica voce franca che significa

“eredità, sorte”. C’è anche chi sostiene che la parola “lotto” abbia

un’antichissima origine germanica e che esistesse già molto prima del

gioco stesso.

Essa designava, in genere, giochi a sorte basati su un’estrazione. Il

vocabolo, infatti, veniva usato per chiamare l’oggetto, simile a un disco o a

un ciottolo, che veniva estratto o gettato per decidere, sotto l’influsso

divino, divisioni di proprietà e simili4. Dalla stessa parola potrebbe

derivare anche il verbo lottizzare, ossia dividere in più parti, questo verbo

veniva utilizzato per indicare la divisione in più parti di terreni e di

immobili.

Successivamente la parola lotto si abbinò al gioco, proprio perché con tale

nome si indicava il premio; un lotto di terreni, un lotto di immobili, che

inizialmente costituivano l’oggetto della vincita. Per trasposizione il nome

“lotto”, che indicava il montepremi, passò ad identificare il gioco.

L’abbinamento delle scommesse con premi costituiti da lotti potrebbe

avere origine olandese. Ad Amersfort, non lontano da Amsterdam, sembra

che nel 1500 alcuni cittadini pensarono di sfruttare la passione del gioco

dei loro concittadini per alienare alcune proprietà non facilmente divisibili.

Misero allora in palio il lotto completo delle loro proprietà. In seguito

l’esperimento si ripeté più volte, tanto che in un secondo momento venne

regolamentato il “Lotto di Olanda”. Anche a Venezia venne organizzata,

dal Consiglio dei Pregadi ( Il consiglio dei Pregadi era l’antico senato veneziano), una lotteria il cui montepremi era appunto “un

lotto” di immobili. La lotteria venne chiamata appunto “lotto del ponte di

Rialto” ed aveva un montepremi complessivo di centomila ducati.

L’ideazione del gioco del lotto, comunque, non è attribuibile ad una

determinata persona. Si può soltanto dire che, questo gioco, è il risultato di

regolamentazioni e perfezionamenti di diverse forme di scommesse, che da

sempre l’uomo ha avuto il gusto di effettuare sui più disparati avvenimenti.

Nel 1339 è rinvenibile a Vicenza uno Statuto che tenta di dare un

ordinamento ai diversi giochi, stabilendo e limitando luoghi e giorni in cui

essi si potevano svolgere, fissando una tassa per chi teneva il gioco ed

elencando i comportamenti proibiti, l’ammontare delle eventuali multe

nonché i limiti sulle diverse puntate. In questo periodo esistono già vari

giochi: le carte, i dadi, la “Zara”, i giochi di sorte. Nessuno di questi,

tuttavia, poteva per vantarsi di avere nulla in comune con il lotto attuale.

Soltanto nel 1448 a Milano si rinviene il gioco delle cosiddette “borse di

ventura” che in sostanza possono ritenersi un primo abbozzo di quello che

sarà più tardi il vero gioco del lotto. Il gioco consisteva nell’assegnare sette

“borse” contenenti rispettivamente, dalla prima alla settima, 300, 100, 75,

50, 30, 25, 20 ducati contanti.6 Chiunque, versando un ducato, aveva la

possibilità di veder inserito in una corba (un recipiente di vimini

intrecciato) un biglietto recante il proprio nome. Poi in piazza

Sant’Ambrogio in un’altra corba venivano depositati altrettanti biglietti

bianchi di cui solo sette recanti l’ammontare dei diversi premi. Chiamato

uno dei presenti ad effettuare due operazioni: veniva estratto un biglietto

dal recipiente contenente i nomi, ed uno da quello con i premi.

Chiaramente se al nome estratto risultava abbinato un biglietto bianco

questi non vinceva nulla, se ne veniva estratto uno recante un premio,

l’ammontare di questo veniva consegnato subito al vincitore alla presenza

di tutti. Questa forma di gioco avrà più tardi nuova vita. Infatti nel 1539 in

Francia, sotto Francesco I, verrà ripresa con il nome “Blanque” (bianca).

Bisogna comunque segnalare che queste forme di gioco non sempre erano

approvate dalle autorità.

Le scommesse erano, già, nel XVI secolo, largamente diffuse ed ogni

avvenimento pubblico dava vita ad una grande attività di gioco. Questo è

testimoniato da uno Statuto, che a Genova nel 1588 proibiva di

scommettere sulla vita del Pontefice, dell’imperatore, dei re, dei cardinali,

sulla riuscita degli eserciti, sull’esito delle guerre, sui matrimoni,

sull’elezioni dei magistrati o dei dogi e addirittura sulla peste7. Il gioco del

lotto a Genova era, comunque, già nato proprio sulle scommesse che

vertevano sull’elezione dei senatori della città. La posizione delle autorità

di fronte al fiorire dei giochi di scommessa fu inizialmente di condanna e

divieto, in seguito, un po’ per gli scarsi risultati ottenuti con la repressione,

un po’ perché i giocatori provvedevano ad effettuare le loro puntate in Stati

più permissivi, causando una notevole fuoriuscita di denaro, si giunse

spesso a legalizzare il gioco.

Conosciuto ed apprezzato il consistente utile che dalla gestione del gioco

poteva derivare, molti Stati giunsero addirittura alla monopolizzazione,

curando in proprio lotterie nazionali. Comunque – almeno in linea teorica –

fu sempre l’intento umanitario a far decidere i governi a legalizzare il lotto.

Ogni statuto, bando o decreto che regolava il lotto, stabiliva che il ricavato

dalla gestione del gioco fosse destinato a fini di pubblica utilità, scopi

umanitari, opere pie che di volta in volta venivano specificate, quasi a

volere giustificare lo svolgimento di un’attività, di per sé, ritenuta

immorale. (Ancora oggi in molti paesi tra cui gli Stati Uniti e l’Inghilterra, devolvono il ricavato di alcune lotterie a fini di

pubblica utilità. Anche l’Italia ha recentemente attuato una politica analoga, devolvendo i proventi derivanti

dall’introduzione della seconda giornata del lotto, per la salvaguardia del patrimonio artistico)

Storia del lotto in alcuni stati preunitari

La patria del lotto: Genova

Genova, secondo quella che è la tesi più accreditata, può fregiarsi

dell’appellativo di patria del gioco del lotto. Esso viene comunemente fatto

risalire ai primi anni del 1500 e la sua ideazione viene attribuita ad un

patrizio genovese di nome Benedetto Gentile, anche se non esistono dati

certi a riguardo9. Risulta accertato, al contrario, che il gioco nacque dalle

scommesse che si praticavano in occasione della scelta semestrale di

cinque membri dei serenissimi collegi. Nel 1539, tuttavia, fu emanato un

decreto mediante il quale veniva vietata ogni forma di scommessa, in

special modo quelle che riguardavano le elezioni dei Duci. Tale divieto

costituisce la prova che nel 1539 esisteva già un sistema di scommesse

collettive legato all’elezione dei magistrati chiamati a far parte del Senato

della repubblica genovese.

In realtà a Genova esistevano anche altri giochi legati a determinati

accadimenti naturali o civili. Il Governo genovese non rimase inerte di

fronte al proliferare di queste nuove attività ludiche. Esistono infatti

almeno tre editti, uno del 1617, uno del 1619 ed uno del 1627, che

vietarono espressamente ogni forma di scommessa tra cittadini e citavano

diverse volte questi giochi. Nonostante le suddette proibizioni, alcuni

scommettitori trasformarono la loro passione in una attività economica

redditizia, iniziando a tenere il banco. Apparve così il “Gioco del

Seminario” (detto anche del “Seminajo”), che aveva anche il merito, per i

giocatori, di riconoscere premi in misura più elevata di quelli concessi

dalle altre forme embrionali di gioco in vigore fino a quel momento. Un

altro vantaggio che sembra avesse il “Gioco del Seminario” rispetto agli

altri giochi allora in vigore, era dato dal “Monte delle scommesse”. Si

trattava di un sistema automatico di capitalizzazione che consentiva di dare

sempre maggiori premi al vincitore. Quando i nomi estratti non erano tra

quelli pronosticati dagli scommettitori, gli introiti venivano accumulati in

una cassa (detta appunto “monte delle scommesse”) ed assegnato in

occasione dell’estrazione successiva. Questo sistema ci fa pensare al fatto

che le vincite fossero assegnate non in base a quote fisse, come accade

oggi per il lotto, ma in base al sistema più sicuro per il gestore, ma meno

invitante per il giocatore, del montepremi (sistema recentemente ripreso

dal superenalotto) (Occorre considerare il fatto ,che all’epoca di cui si tratta, il calcolo delle probabilità era agli albori della sua storia.

Sarebbe stato pertanto difficile per il gestore del gioco calcolare una quota fissa ad ogni singola scommessa, in grado di

garantire comunque un utile per il banco. Con il sistema del montepremi il banco aveva la possibilità immediata di

stabilire l’ammontare del proprio utile.).

Il nome “del seminario” derivava da quello con cui il popolo chiamava il

contenitore in cui venivano imbussolati i centoventi nomi dei cittadini più

in vista della potente repubblica marinara. Tra questi venivano estratti

cinque nomi che entravano a far parte del Senato.

In molte occasioni la Repubblica Genovese emanò decreti che vietavano il

gioco e le scommesse, senza, tuttavia, scoraggiare mai la passione dei suoi

cittadini. Così in data 22 settembre 1643 i Serenissimi Collegi fecero un

clamoroso “dietro-front”, anche per le condizioni dissestate delle finanze

pubbliche. Sembra che alla data del 1641 la repubblica di Genova avesse

un deficit di oltre mezzo milione di lire genovesi, dovuto essenzialmente ai

debiti contratti per la costruzione delle poderose fortificazioni cittadine. Su

proposta della Camera, l’organo statale che curava la buona salute delle

finanze, le autorità pubbliche decisero di appaltare il gioco, ribadendo nel

contempo l’assoluto divieto di effettuare privatamente raccolte e giocate.

Questa data segna la nascita ufficiale del gioco del lotto legale. Nel marzo

del 1644 fu assegnato l’appalto per la gestione del gioco del lotto che

continuò a chiamarsi “giuoco del seminario”. Ad aggiudicarsi la gara fu

una società composta da quaranta concessionari (che appunto si chiamava

“società dei quaranta”).

I giocatori potevano puntare sull’estratto semplice, sull’estratto determinato

(il primo nome eletto in ordine di estrazione), sull’ambo e sul terno. La

ricevuta che veniva consegnata al giocatore a riprova dell’ avvenuta

giocata, si chiamava “firma”. Dal punto di vista del diritto civile aveva un

grande valore in quanto per il pagamento della “firma”, al pari dei

“pagherò” e delle “cambiali”, era prevista una forma di esecuzione

privilegiata detta “esecuzione parata”. In verità i nomi imbussolati non

erano mai 120 ma subivano una certa oscillazione in base al numero

effettivo dei candidati.

Il nuovo gioco, a seguito della liberalizzazione e della conseguente

regolamentazione, ebbe nel tempo un successo clamoroso tanto che le

giocate provenivano da ogni parte d’Italia. Ne è prova il fatto che, gli

introiti ricavati dal gioco del Seminario, registrarono una forte impennata

negli anni seguenti alla proibizione del gioco in Roma, decretata nel 1696

da Papa Innocenzo XII. Infatti i sudditi del potere temporale della chiesa,

non potendo più giocare sul lotto di Roma, spostarono le loro scommesse

su quello di Genova. (Non a caso uno dei motivi che spinsero Papa Clemente XII a reintrodurre il gioco, vietato solo sei anni prima, fu

proprio la grande fuga di danaro che avveniva da Roma verso le casse di altri Paesi.)

Del resto era la prima volta che uno Stato questo

tipo di attività e questo offriva finalmente una certa garanzia ai giocatori

che tutto venisse fatto nel più regolare dei modi.

Il controllo della Camera, il Ministero delle Finanze della repubblica

genovese, era molto preciso. Oltre a decidere sulle controversie tra privati

e privati e tra privati e pubblica amministrazione, la Camera presenziava

all’estrazione e si prendeva cura di pubblicare a proprie spese l’elenco

ufficiale dei nomi imbussolati e di quelli estratti. Anche per questo,

l’interesse per il gioco crebbe in tal misura che, per dare nuove opportunità

ed anche per acquisire moneta estera, il Governo autorizzò i gestori di

raccogliere scommesse anche sui lotti di Torino e Milano. Tale possibilità

era però riservata ai soli stranieri e non era consentito raccogliere

scommesse di cittadini genovesi. Per questo il sistema di raccolta era

diverso da quello ordinario e veniva effettuato da speciali “prenditori”

direttamente presso il domicilio dei forestieri. Interessante notare che

anche il Gioco del Seminario conobbe una sorta di “lottonero” (Pare, infatti, che a Genova si diffuse in maniera abbastanza capillare un nuovo gioco, pressoché identico al

Seminario, ma basato su una diversa lista di nomi. Dal momento che i prenditori non dovevano corrispondere alcun

canone allo Stato, le vincite per i giocatori erano superiori. Per contrastare la diffusione di questo gioco alternativo, di

cui – sembra – si svolgessero tre estrazioni all’anno, le autorità genovesi giunsero a prevedere nel 1671 sino a “scudi

douemilla d’oro e con penale sino a due o tre anni di galera” per coloro che venivano trovati a gestire il nuovo gioco.)

Nel 1735 si registrò la novità dell’importazione da Torino del “Gioco delle

Zitelle”. Venivano imbussolati novanta nomi di giovani ragazze da marito.

Ai cinque nomi estratti veniva riconosciuta una dote di cento lire. Per

introdurre in Genova questo nuovo gioco, gli appaltatori si impegnarono a

riconoscere un compenso annuo di diecimila lire.

Nel 1805 la repubblica di Genova passò, come quasi tutta l’Europa

occidentale, sotto il controllo delle armate francesi ed il lotto venne

soppiantato dalla “Lotteria Imperiale Francese”, peraltro assai simile al

gioco del lotto. Dissoltosi l’impero napoleonico, il lotto genovese confluì

prima in quello del Regno di Sardegna e poi in quello italiano.

Il lotto a Venezia

Venezia il gioco del lotto, simile a quello odierno, nacque nel 1733. La

prima estrazione fu effettuata il 5 aprile 1734. In precedenza era già

operante una sorta di lotto pubblico, ma assomigliava più alle moderne

lotterie, non è quindi un caso che lotterie del genere continuarono anche

dopo la nascita del lotto vero e proprio.

Il nome con cui il gioco si diffuse a Venezia, “Lotto intitolato di Genova e

di Roma”, dimostra come si trattasse di un gioco di importazione. Il

decreto che ne fissò la nascita è datato 14 gennaio 1733. In quella stessa

occasione venne stabilito che il gioco fosse gestito direttamente dallo

Stato, evitando l’appalto a terzi. Ma nel 1745 per l’estrazione di cinque

numeri si giunse a dover pagare circa 200.000 ducati di vincite. Si stabilì

allora che non si sarebbe dovuta superare la somma di 118.000 ducati per

ogni estrazione. Era in vigore anche la cosiddetta regola del “castelletto”,

in base alla quale quando veniva raggiunta la somma prevista come

massima per le giocate su alcuni numeri, si poteva procedere alla chiusura

del gioco restituendo ai giocatori le giocate accolte in eccedenza.

Il lotto si svolgeva predisponendo una lista di “novanta donzelle nubili, da

scegliersi da Parocchie, Ospitali e luoghi Pij della città da imbossolarsi

nella giornata d’estrazione del lotto”. Ogni anno venivano svolte nove

estrazioni di cinque nomi di ragazze. Al primo nome estratto erano

riconosciuti a titolo di dote quaranta ducati; alle altre quattro ragazze solo

venti ducati. La coincidente finalità di voler costituire la dote di giovani

fanciulle, dimostra l’ampio influsso del “gioco delle zitelle”, che aveva

avuto luogo a Torino sin dal 1674.

Il Petitti14, attento storico del gioco del lotto, racconta che, a Venezia, il

luogo dell’estrazione era la gran loggia del Sansovino sotto la gran torre di

S. Marco, residenza solita dei procuratori di S. Marco. Prima

dell’estrazione si paravano a festa le colonne della loggetta. Si sceglieva

un trovatello dell’età di circa cinque anni, che avrebbe provveduto

all’estrazione delle cedole in pergamena in cui erano stati scritti i numeri

dall’uno al novanta. L’estrazione avveniva alla presenza del pubblico ed

era una vera e propria cerimonia presieduta da due Magistrati che

provvedevano a sigillare la botticella che conteneva i novanta numeri .

Questo sistema di gioco restò invariato molto a lungo sino alla prima

dominazione austriaca (1797-1806).

Anche a Venezia il lotto “nero” dovette avere una larga diffusione visti i

numerosi interventi normativi che furono emanati per combattere questa

pratica illegale.

Il lotto a Milano

A Milano il gioco del lotto ebbe una storia contraddittoria; una serie

infinita di divieti si alternò, infatti, a concessioni straordinarie. Questo

anche a causa dell’instabilità politica che ha caratterizzato Milano per circa

due secoli. Inoltre i successivi governi presero decisioni talvolta diverse

riguardo al mantenimento del gioco.

Sembra comunque certo che il gioco del lotto a Milano fu introdotto agli

inizi del XVII secolo. E’ quanto testimonia l’autorevole storico del gioco

del lotto, Petitti di Roreto15. Molto probabilmente il gioco si diffuse

nell’area del capoluogo lombardo facendo riferimento alle estrazioni del

già famoso “Giuoco del Seminario” che si svolgeva a Genova.

Una grida del 1644 confermerebbe l’origine genovese del lotto milanese.

Tale legge vietava la partecipazione al gioco del seminario di Genova,

perché ritenuto fraudolento. Nonostante il divieto il gioco continuò a

crescere in clandestinità tanto che il 2 luglio 1665 il Governatore della città

di Milano decise di affidare la concessione del gioco per 20 anni a tal

Giovanni Battista, in cambio della metà degli utili. Anche il Governo di

Milano aveva ormai capito che il lotto poteva diventare uno strumento da

cui trarre profitti. Il gioco, tuttavia, non riscosse il successo sperato, tanto

che si alternarono diversi gestori in pochi anni, fino ad arrivare nel 1688

alla sospensione dell’autorizzazione ad opera del governatore spagnolo.

Anche in questo caso il nuovo divieto non scoraggiò i giocatori, che

continuarono a puntare sul lotto di Genova. Ciò è testimoniato anche

dall’impennata degli introiti registrati in quegli anni dal gioco nella vicina

repubblica ligure. A questo punto le problematiche che dovevano

affrontare i governatori della città erano molto complesse: da un lato

evitare la fuga dei capitali, visto che la popolazione continuava comunque

a giocare sul lotto di Genova, dall’altro lato il rispetto per il divieto.

Questa situazione determinò un periodo in cui i divieti e le concessioni si

alternarono rapidamente, bisogna sottolineare che i divieti erano spesso

dettati più che da ragioni etiche, dal fatto che i proventi delle concessioni

risultavano inferiori alle aspettative.

Fu l’amministrazione austriaca che sancì la definitiva legalizzazione del

gioco, con un editto del 22 dicembre 1768, infatti, Maria Teresa d’Austria

fissò nuove regole, concedendo la licenza alla famiglia Minonzi e

prevedendo la partecipazione agli utili della Regia Camera per un terzo.

L’editto stabiliva che fossero svolte 11 estrazioni l’anno mediante

l’imbussolamento di 90 numeri.

A partire dal 1784 il gioco del lotto venne gestito direttamente dalla Regia

Camera e fu stabilita a favore dell’erario la cifra di 227.000 lire annue, pari

al canone dell’ultimo appalto. Inoltre. per ogni estrazione furono prelevate

5 doti da 50 lire ognuna da destinarsi a cinque ragazze da marito. Nel 1787

queste doti furono destinate ad operaie delle manifatture di seta allo scopo

di promuovere tale settore. Il numero delle estrazioni salì a 26, di cui

tredici si svolgevano a Milano e tredici prendevano come riferimento i

numeri estratti a Torino.

Con l’invasione napoleonica il lotto milanese restò sostanzialmente

invariato anche se le tariffe vennero allineate alla lotteria imperiale in uso

in Francia. Nel 1817 fu emanata un nuova disciplina organica della

materia, fino alla seconda metà del secolo, periodo in cui il lotto di Milano

confluì prima in quello di Torina poi in quello italiano.

Il lotto a Roma

Neppure a Roma la storia del lotto ebbe facile corso. Esso fu importato

clandestinamente dagli altri Stati, se ne ha notizia sin dal 1666 quando

Filippo IV, re di Spagna, chiese a Papa Alessandro VII Chigi di decidere

circa la liceità sul piano religioso del gioco del lotto che si stava

diffondendo anche nelle sue terre.

Sua Santità bollò immediatamente il gioco, condannandolo come peccato

grave e prevedendo pesanti pene ai giocatori e la reclusione per i ricevitori.

Inoltre stabilì che tutti coloro che avessero comunque a che fare con il

gioco fossero scomunicati. La bolla papale generò grande malcontento tra

la popolazione, che aveva preso a giocare con passione ai lotti di Genova,

Modena e Napoli.La posizione di Papa Alessandro VII fu però confermata

dai suoi successori, che ribadirono il divieto allargandolo a qualsiasi altra

forma di scommessa.

Nonostante queste decise proibizioni il gioco del lotto clandestino a Roma

prosperò in maniera sempre più ampia. Clemente XI Albani decise allora

di ridiscutere tali divieti ed affidò la questione ad un’apposita

congregazione di teologi e canonisti, che giunsero alla conclusione che il

gioco del lotto sarebbe potuto diventare legale solo se gestito dallo Stato

Pontificio.

Nel 1721, a seguito di tale illuminato parere, Papa Innocenzo XIII permise

l’introduzione del gioco. Nell’editto, tuttavia, veniva stabilito il divieto di

giocare ai Lotti delle altre città.

L’abilità dei Papi di dettare un’attenta politica finanziaria trovò puntuale

conferma anche nel campo del lotto. La gestione del gioco venne infatti

data in appalto a privati, a condizione che le vincite per ambo e terno

fossero maggiori di quelle riservate ai vincitori di altri Stati,

rispettivamente del 20% e dell’80%. Grazie a questo importante vantaggio

a favore del giocatore, il gioco conobbe una vera e propria esplosione,

anche per il forte afflusso di giocate provenienti da territori stranieri.

Tuttavia, nonostante il successo, dopo appena quattro anni, probabilmente

per ragioni di ordine morale, nel 1725, Papa Benedetto XIII cancellò

quanto fatto dal suo predecessore, emanando tre diversi editti che

tornarono a vietare il lotto a Roma. Nonostante il divieto, i sudditi papali

continuarono a giocare al lotto sia a Roma (con il lotto clandestino), sia

soprattutto partecipando ai lotti stranieri. Questo fenomeno indusse il Papa

ad emanare una costituzione, datata 12 agosto 1727, che prevedeva nuove

pene spirituali, oltre quelle temporali previste dai precedenti tre editti.

Nel 1731 la liceità del gioco del lotto venne prontamente ristabilita per

motivi economici. Papa Clemente XII decise di reintrodurlo al fine di

trovare i fondi necessari per costruire una grande fontana al termine

dell’acquedotto dell’acqua Vergine. Le casse dello Stato Pontificio erano,

infatti, irrimediabilmente vuote. In poco tempo proventi del lotto

permisero la costruzione della fontana di Trevi, la fontana più famosa del

mondo. Per non cadere in contrasto con il suo predecessore, che ne aveva

sancito l’assoluto divieto.

Clemente XII istituì una commissione “ad hoc” con il compito di

esaminare nuovamente i vari aspetti legati al gioco, non ultimi quelli

religiosi. I lavori della commissione non durarono a lungo, anche perché il

Papa aveva fretta di aprire il cantiere per la nuova fontana. La

congregazione, non poteva essere altrimenti, diede parere favorevole al

ristabilimento del gioco. E’ assai interessante sintetizzare i motivi, alcuni

dei quali anche di natura religiosa, che spinsero il Papa a dare seguito alle

richieste del popolo:

a) il gioco poteva essere reintrodotto in quanto vi era stato un eminente

parere di un’apposita congregazione; b) tutte le precedenti proibizioni non

avevano sortito grandi effetti; c) era grande il rischio per i numerosissimi

giocatori di andare incontro non solo alle sanzioni previste dalla legge, ma

anche alla possibilità che i gestori clandestini li defraudassero della

vincita, soprattutto se questa era particolarmente elevata; d) la sincera

afflizione del Santo Padre nel sapere che migliaia di suoi fedeli andavano

incontro alla dannazione della loro anima, pur se molti confessori non

davano corso alle disposizioni papali assolvendo ugualmente i giocatori

pentiti; e) la grande fuga di denaro dalle casse dello Stato Pontificio verso

le casse degli Stati stranieri. Tanto più che con il provvedimento

concessorio di Papa Innocenzo XIII si era potuto invertire il flusso, in

quanto il lotto a Roma prevedeva quote per l’ambo e per il terno

notevolmente superiori a quelle praticate in altri Stati e questo faceva

affluire ingenti somme di denaro dall’estero verso il lotto di Roma; f)

durante la gestione statale del lotto si era potuto verificare che questo

assicurava l’onesto sostentamento di oltre quattrocento famiglie. Ancora

più interessante è notare come, molte delle motivazioni date allora dal

Papa Clemente, siano attualmente utilizzate per giustificare il

mantenimento del gioco del lotto.

Avendo brillantemente risolto i problemi di ordine morale e religioso, nel

1731, Papa Clemente XII emanò l’editto con cui affermava il

ristabilimento in Roma di un nuovo gioco del Lotto, che restava però

interdetto alle persone vincolate al voto di povertà, ai frati ed alle

monache. Per dare una finalità morale a tale nuova attività, il Papa stabilì

che i proventi del gioco dovessero essere impiegati per assicurare ad ogni

estrazione un’onorata dote a cinque povere zitelle e, naturalmente, per la

creazione di un fondo destinato alla realizzazione di opere pubbliche.

L’operazione ebbe un notevole successo. Infatti, sin dalla terza estrazione,

il governo pontificio centrò il suo obiettivo assicurandosi le entrate fiscali

necessarie per dare corso ai lavori. Il 12 maggio 1732 Papa Clemente poté

quindi stanziare i primi finanziamenti per la costruzione della fontana di

Trevi.

Nel 1737, poiché anche altri Stati avevano aumentato i premi per l’ambo

ed il terno allineandoli a quelli di Roma, si cercò di attirare l’attenzione

ridestando l’interesse dei giocatori con un’operazione finanziaria che

consisteva nel riconcedere, seppur in un nuovo modo, l’appalto del lotto.

Furono così posti in vendita 20.000 carati, o porzioni, di 50 scudi ognuno.

Il milione di scudi ricavato doveva essere suddiviso in questo modo:

300.000 scudi a disposizione del Papa, per lo Stato e per qualsiasi urgenza

di Roma: 700.000 scudi al monte di pietà. Quest’ultima cifra sarebbe

servita nella somma di 100.000 scudi per il pagamento delle vincite del

gioco qualora non fosse stato sufficiente l’incasso delle puntate; i restanti

600.000 scudi sarebbero stati investiti come riserva di gioco.

Nel 1770 Pio VI decise di tornare al sistema della gestione centralizzata

assunta dalla Reverenda Camera, con la solita supervisione della Tesoreria

Generale. Risulta che nel 1785, sempre sotto Pio VI, gli utili derivati dal

lotto contribuirono alla bonifica delle Paludi Pontine. A seguito

dell’occupazione francese nel 1811, durante la quale si consumò la grande

“offesa” che vide l’arresto di Papa Pio VII Chiaramonti, il lotto continuò

senza interruzioni. Cambiò solo la sede ove avvenivano le estrazioni. Dalla

piazza del Campidoglio si spostò l’urna nella Chiesa delle Suore

Benedettine della S.S. Concezione di Maria in Campo Marzio.

Al ritorno del Papa, l’estrazione fu nuovamente spostata in piazza

Montecitorio ed il gioco cambiò nome denominandosi “Gioco del Lotto di

Roma e Toscana”.

Le estrazioni da nove salirono a 48, 24 si svolgevano a Roma e 24 in

Toscana.

 
Analisi economico finanziaria del gioco del lotto e di altri giochi pubblici – TESI di LAUREAultima modifica: 2011-10-14T15:44:00+02:00da io-ei90numeri
Reposta per primo quest’articolo